venerdì 11 aprile 2014

GLI AFFRESCHI DELLE CRIPTE EREMITICHE PUGLIESI / / / Recensione a firma di Nicola De Paulis apparsa su "Nuovo Quotidiano di Puglia" di giovedì 3 aprile 2014


Lo storico saggio della studiosa
MEDEA, GLI AFFRESCHI
DELLE CRIPTE PUGLIESI
Ripubblicato da Capone a 75 anni dalla prima edizione un classico della ricerca archeologica

di NICOLA DE PAULIS

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Con la ristampa del volume Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi di Alba Medea, da parte dell’editore Capone di Cavallino, in libreria in questi giorni, la cui prima edizione risale al 1939, viene colmato un vuoto editoriale e culturale che ormai durava da quasi cinquanta anni. Da quando, infatti, all’inizio degli anni 70, è stata richiamata l’attenzione e si è risvegliato l’interesse per la civiltà rupestre pugliese a seguito della pubblicazione di opere come Civiltà rupestre in Terra jonica (1970), Gli Insediamenti rupestri medioevali del Basso Salento di Cosimo Damiano Fonseca (1979), a cui hanno fatto seguito le pubblicazioni più recenti di tanti altri studiosi, l’opera della Medea, sempre citata, ricordata in tutti questi scritti, era ormai introvabile.
La ricerca della Medea è - come scrive Antonio Ventura nella presentazione - “il primo grande studio condotto in maniera organica su quei singolari monumenti della Puglia meridionale e delle limitrofe regioni di Basilicata e Calabria”. Un patrimonio artistico, queste pitture votive, rimasto per lunghi anni sconosciuto agli ambienti culturali ed accademici italiani, anche se alla metà dell’Ottocento diversi studiosi, specie francesi, come Charles Diehl (L’arte bizantina in Italia meridionale), Francois Lenormant (La Grande Grecia), visitarono questi monumenti della Puglia e studiosi salentini come il De Simone e il De Giorgi ricevettero l’incarico di esplorarli; incarico che però non si concretizzò.
Alba Medea, lombarda, cominciò giovanissima negli anni Trenta ad interessarsi alla storia e all’arte dell’Italia meridionale. La sua passione per l’antichità classica l’aveva spinta a collaborare con Paolo Orsi, il famoso archeologo originario di Rovereto, direttore del Museo di Siracusa, che all’archeologia dell’Italia meridionale, in specie della Sicilia e della Calabria, aveva dedicato al sua vita e che insieme a Umberto Zanotti Bianco, fu il fondatore nel 1920 della “Società Italiana Magna Grecia”.
È da questi studiosi che la Medea nel 1932 riceve l’incarico di effettuare in Puglia l’esplorazione e la ricognizione sistematica degli affreschi conservati nelle cripte basiliane. Il lavoro andò avanti per alcuni anni, “entro i fianchi delle solitarie, aspre gravine”. L’opera completa, in due volumi, di cui uno fotografico, vide la luce nel 1939 (l’editore non ha ristampato però la parte fotografica) e contiene la descrizione di tutti monumenti rintracciati nelle province di Bari, Brindisi, Lecce e Taranto.
Fra queste, (segnaliamo quelle più note) per la provincia di Lecce figurano S.Marina e Cristina di Carpignano i cui affreschi sono datati al 959, San Salvatore a Giurdignano, (IX -X secolo), S.Maria a Poggiardo, la Cripta della Celimanna a Supersano, i Santi Stefani a Vaste, San Salvatore a Ugento, la Cripta della Favana a Veglie.
Molto dettagliata è la descrizione delle cripte della provincia di Taranto situate nel territorio del tarantino nord occidentale fra cui: Manduria con la cripta di S.Pietro Mandurino; Massafra: San Marco, la Candelora, San Leonardo; Mottola: con la Madonna del Carmine, San Nicola; Castellaneta con le numerose cripte della gravina Mater Christi. Per la provincia di Brindisi: San Lorenzo, San Procopio per Fasano; San Biagio per San Vito dei Normanni, Ostuni con S. Margherita e S. Maria d’Agnano, rivelatosi poi in questi anni una delle grotte preistoriche più importanti della Puglia, in quanto qui negli anni 90 l’archeologo Donato Copola vi rintracciò lo scheletro di una donna morta di parto risalente a 22.000 anni fa, al paleolitico.
Per la Medea, gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi, in cui si notano lunghe file di santi e con le nicchie riservate alle figure di Cristo in gloria o della Vergine, furono probabilmente il risultato di un “fervore religioso che trasformò questa terra in una nuova Tebaide… e di una civiltà rifugiatesi nel silenzio delle laure … a seguito di migrazioni di monaci in fuga di fronte al periodo mussulmano e che dovrà trovare il suo posto entro il vasto quadro dell’arte pittorica bizantina”.
Oggi alcuni studiosi ritengono però che molte di queste cripte non siano in effetti legate al monachesimo bizantino; diverse furono le committenze anche civili, frutto di una religiosità popolare e di un’arte bizantineggiante che si protrasse fino all’età moderna.

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