venerdì 28 novembre 2014

"LECCE, MIRABILI ITINERARI", di Silvia Famularo e Luigiantonio Montefusco, con Presentazione di Rino Bianco / / / disponibile dal 3 dicembre 2014








Lecce, mirabili itinerari

Sarà disponibile dal 3 dicembre 2014 Lecce, mirabili itinerari (nei quattro portaggi, tra luoghi e personaggi, aneddoti e curiosità, storia e leggenda), di Silvia Famularo e Luigiantonio Montefusco. Presentazione di Rino Bianco.
«[...] L’immagine di Lecce “città d’arte”, come centro urbano ricco di storia e monumenti, non è recente essendo stata riportata da uomini di cultura e della nobiltà europea che si sono avventurati nel sud d’Italia nei secoli dei grands tours. Pioniere è stato il filosofo inglese George Berkeley che scrivendo ad un suo amico del suo “Viaggio in Italia” riferiva dell’esuberanza architettonica di Lecce: “la più bella città italiana si trova in un lontano angolo del tacco…è, per i suoi ornamenti architettonici, la città più fastosa che abbia mai visto”.
Porta Rudiae
[...] Attualmente gli itinerari di visita del centro storico di Lecce si dipanano da Porta Napoli (Porta San Giusto), Porta Rudiae e Porta San Biagio lungo le direttrici, rappresentate rispettivamente da via Palmieri, via G. Libertini - corso Vittorio Emanuele II, via dei Perroni -via F. D’Aragona, corrispondenti ad assi viari dell’impianto romano, che convergono verso il cuore della città: piazza Duomo e piazza Sant’Oronzo (piazza dei Mercanti fino al 1871).
[...] Si tratta di percorsi illustrati nella gran parte dell’editoria divulgativa su Lecce, che tuttavia talora esclude strade e monumenti posti ai margini delle direttrici sopracitate. Basti pensare a piazzetta Tancredi con la chiesa del Carmine, a via Principi di Savoia, a piazza dei Peruzzi o a via Conte Accardo con le chiese di San Francesco e San Giovanni Evangelista, quest’ultima palinsesto della storia cittadina fin dal XII secolo.
[...] All’interno dei “portaggi”, nella descrizione dei singoli monumenti, gli Autori evidenziano il geometrismo classicheggiante tardorinascimentale, base ed ossatura dell’architettura salentina, su cui si innestano schemi e motivi decorativi elaborati localmente, apparentemente simili e ripetitivi e che in realtà rispondono a gusti e stilemi succedutisi nell’arco di circa tre secoli e che un attento esame può collocare tra rinascimento e cd. “barocco fiorito”.
Porta San Biagio
[...] Ma è nella fabbrica di Santa Croce e dell’adiacente palazzo dei Celestini e nel complesso di piazza Duomo che genialmente si fondono in un insieme spettacolare e dinamico le diverse esperienze e i linguaggi artistici del Riccardi, degli Zimbalo, dei Manieri e di Cino.
[...] Ora viene in soccorso il lavoro di Silvia Famularo e Luigiantonio Montefusco, che consente un’inedita visita del centro città attraverso i quattro “Portaggi” e le tante, quasi sconosciute, “insulae” poste al loro interno. Ne viene fuori un’inedita imago urbis fondata sulle fortificazioni e sulle grandi porte che immettevano nei relativi “portaggi” attraversando isolati (insulae) fatti di chiese e monasteri e di palazzi pubblici e privati, che erano utili riferimenti topografici e di orientamento nel vivere quotidiano».

Passi tratti dalla Presentazione di Rino Bianco

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Gli autori:
Porta San Martino
Silvia Famularo, giornalista, ha collaborato con diverse testate radio-televisive e della carta stampata.
Ha curato numerose rubriche di approfondimento su tematiche culturali e sociali, in particolar modo dedicandosi alla realizzazione di programmi di carattere storico ed artistico.
Ha pubblicato: Salento. Splendide dimore (2004), Le piazze del Salento (2005) e Conventi e Monasteri del Salento (2006).
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Luigiantonio Montefusco, docente di materie letterarie negli Istituti di istruzione di secondo grado, è nato e vive a Lecce;cultore di storia, arte ed araldica salentina, ha collaborato a riviste culturali come “Rassegna Salentina” e “Nuovi Orientamenti”; ha scritto numerose opere, tra cui Le successione feudali in Terra d’Otranto (in due voll.), Lecce nobilissima, Salento nobilissimo, Nobiltà nel Salento, Parchi e giardini del Salento, Salento. Splendide dimore, Stemmario di Terra d’Otranto.
Ha partecipato a diverse trasmissioni televisive, ha collaborato con l’Università degli Studi di Lecce, ed è stato relatore in convegni quali quello su Maria d’Enghien, su Giuseppe Candido e su Giuseppe Zimbalo.
Ha condotto a Lecce e nel Salento alcuni dopocena culturali per conto dello Speleotrekking Salento.


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Caratteristiche tecniche
Silvia Famularo, Luigiantonio Montefusco, Lecce, mirabili itinerari (nei quattro portaggi, tra luoghi e personaggi, aneddoti e curiosità, storia e leggenda), con Presentazione di Rino Bianco.
Pagine 128, interamente a colori, cartonato con sovraccoperta e racchiuso in un elegante cofanetto.
Il volume è posto in vendita al prezzo di copertina di € 40,00 - ISBN: 978-88-8349-195-5



venerdì 21 novembre 2014

IL "PRIMATO" DEL REGNO DELLE DUE SICILIE / / / Recensione a firma di Roberto Della Rocca apparsa su "Identità insorgenti" il 17/XI/2014


LA RECENSIONE / Voi inventate i primati? Mottola brinda con Barbero e champagne!



Di una cosa però sono orgoglioso: nell’analisi storica non parto da preconcette posizioni ideologiche per interpretare i fatti e i documenti per addomesticarli alle mie convinzioni; applico sempre questo metodo e mi ritengo perciò – piaccia o non piaccia- intellettualmente onesto, riconoscendomi pienamente nella definizione salveminiana di onestà dello storico. Tanto per fare un esempio, se scelgo di valutare i “documenti ufficiali”, lo faccio sempre cercando di valutare ogni singolo documento anche e soprattutto per le motivazioni e gli obiettivi che lo hanno generato. Poi li valuto tutti allo stesso modo e con lo stesso metro, non ne elevo cioè uno a rango di “verità assoluta” , solo perché contiene ciò che a me piace leggere e ne disconosco un altro perché contrario alle mie convinzioni. Detto in parole povere e portando il discorso a maggior concretezza, se devo ritenere “bibbia” un documento dei Borbone o una rivista di parte, poi devo fare altrettanto con quelli savoiardi. Questo, per inciso, si chiamerebbe “metodo” e “coerenza scientifica”. Ma, preferisco la religione del dubbio, dello scavo delle ragioni reali dei singoli fatti, dell’analisi dei meccanismi sottostanti e retrostanti. Ciò mi ha portato finora a non salire in cattedra e a non propalare inesattezze, esagerazioni e interpretazioni parziali, evitando – tra l’altro – di prestare il fianco alle facili confutazioni di chi non la pensa come noi. Se poi questo, nel cosiddetto mondo revisionista, è un limite e un difetto … ebbene io ne sono … affetto e me ne dichiaro vittima!”
Valentino Romano

Scomodo il Signor G e la sua musica per dare un titolo a quest’ennesima, premiatissima, parrucconeria in salsa tricolore. Il libro di José Mottola “Il primato del Regno delle Due Sicilie” è quanto di peggio potesse capitare al, fin troppo sgangherato, mondo (cosiddetto) meridionalista (intendendo per meridionalista l’insieme delle molteplici varianti di un fenomeno che, solo a partire dalle loro definizioni, andrebbe analizzato da un team congiunto di socio-psicologi). E’ quanto di peggio potesse capitare perché, sfruttando un titolo ai limiti dell’ambiguità (anche se l’annuncio, fin dalla copertina, della postfazione di Alessandro Barbero lascia poco spazio ai dubbi), si avvia a distruggere in modo scientifico il “primatismo” come elemento di metodologia e di indagine storiografica. Ovviamente tutto confluisce in un magistrale discorso a tinte tricolori a far da sfondo all’immagine di un Regno delle Due Sicilie fatto a pezzi.
Il problema è che, seppur l’autore abbia ben noti i nomi e i cognomi di queste varianti meridionaliste (e sono, nero su bianco, fin da pagina 5), l’operazione smonta primati si trasforma in una operazione smonta revisionismo storico. Basta guardare la bibliografia a cui si è “abbeverato” Mottola, prima di cimentarsi nell’immane impresa. Basti pensare che, in certi passi, ha l’ambizione di smentire Nitti. Ambizione, per uno che parla della Legge Pica come di uno strumento necessario, davvero troppo grande.
E’ impressionante la derisione che José Mottola opera verso un gruppo di “meridionalisti” tutti allineati in un manifesto sul brigantaggio dove, ovviamente, sono riportati numeri alla rinfusa. Da notare un milione di morti a fronte di soli 500.000 feriti, è un dato statistico contrario alla logica.
In nessuna guerra si registra un numero di morti inferiore al numero dei feriti, basti pensare alla battaglia di Sedan (i francesi persero 3mila uomini e registrarono 14mila feriti; i prussiani 2320 morti e 5980 feriti) o a quella del Volturno (i napoletani ebbero 300 morti e più di 800 feriti; i sardo-garibaldini 300 morti e 1328 feriti).
Mottola, sapendo di avere partita facile, chiede, ovviamente, di tirare fuori le prove e le testimonianze di questa milionata di cadaveri. E il manifesto sul brigantaggio riportato nel libro di Mottola è l’incarnazione di quella metodologia del primato tanto cara agli analfabeti, anzi, come direbbe qualcuno molto più in alto di me, ai neoanalfabeti, che sta banalizzando così anni e anni di ricerche e di studi.
Si prende un pizzico, ma non troppo, di verità storica e lo isola dal proprio contesto. Nella maggior parte dei casi, e lo abbiamo visto sia con lo scalatore del monte Bianco che con il terzo posto quale potenza industriale mondiale in una presunta esposizione industriale parigina del 1856, si inventa praticamente da 0.
Come che sia il processo di formazione, e se il primato sia totalmente falso oppure vero, il risultato è sempre lo stesso. L’aver estrapolato una parte della realtà storica che, nella migliore delle ipotesi (quella di primato vero) non ti rende capace di comprende un beneamato tubo sul contesto e ti illude di essere di fronte a una verità totalizzante. Così si sostituisce la leggenda nera alla leggenda rosa. Così si offre una chance a scrittori come Mottola che, pur partendo da Sud, aderiscono all’idea tricolorata di patria sfruttando la metodologia del primato, come un grimaldello per forzare le porte del revisionismo anti risorgimentale.
Eppure non riesco ad essere cattivo né con Mottola, né con Capone (forse la veste grafico-editoriale poteva essere curata meglio) ma solo con chi fornisce loro le armi di aggressione. Un esempio di quanto possa essere distorta la realtà storica pur citando autori precedenti mi è capitato recentemente leggendo un libro del giornalista britannico Francis Wheen su Marx, dunque distinto e distante dai nostri argomenti epifenomenici. In questo testo si riporta un brano di un lavoro giovanile del filosofo di Treviri sulla Questione Ebraica. Si legge testualmente:
“Qual è il fondamento mondano del giudaismo? Il bisogno pratico, l’egoismo. Qual è il culto mondano dell’ebreo? Il traffico. Qual è il suo Dio mondano? Il denaro. Noi riconosciamo dunque nel giudaismo un universale elemento attuale antisociale, il quale, attraverso lo sviluppo storico cui gli ebrei per questo lato cattivo hanno collaborato con zelo, venne sospinto fino al suo presente vertice, un vertice sul quale deve necessariamente dissolversi. L’emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo è l’emancipazione dell’umanità dal giudaismo”.
Marx, filosofo tedesco di origine ebree si esprime contro gli ebrei. Prendendo un pezzettino di realtà, pare proprio di sì. Poi prendi la Questione ebraica e scopri che le frasi sono estrapolate, ad arte, da un libretto polemico scritto in risposta al filosofo Bruno Bauer, che sosteneva la necessità di non allargare i diritti civili agli ebrei, dunque capisci che Marx scriveva in difesa degli ebrei.
Un paradosso, ma è esattamente quanto capita con il primatismo come metodo. Che la prima ferrovia in Italia sia stata realizzata a Napoli è un fatto oggettivo. Che il primo scalatore del monte Bianco fosse un genovese repubblicano, mazziniano e senatore del regno d’Italia è un fatto oggettivo, con buona pace degli epifenomeni.
Quando è nato il primatismo? La necessità di creare un elenco di primati non rappresenta nient’altro che il “lato scuro” della leggenda risorgimentalista oltre che una risposta, piuttosto inoffensiva, al leghismo rampante dei primi anni ’90. Se ci fosse stato un vero interesse verso la millenaria storia del Sud non si sarebbero concentrati soltanto su alcuni aneddoti del periodo borbonico.
Il libro di Mottola si configura dunque come la peggiore critica possibile al primatismo giacché da critica al primato punta a mettere, nero su bianco, un elogio al tricolore e all’italianità affidandosi non a contro primati ma ad una bibliografia e a delle ricerche scientificamente credibili, seppur parziali e non conclusive.
Quando, sconsideratamente Alessandro Barbero a Superquark parlò per la prima volta in tv di Fenestrelle, usò dei toni poco consoni per un accademico, a cui feci seguire un articolo che spedii alla redazione della trasmissione. Tantò gli andò storto quell’articolo che il professor Barbero (fine medievalista), in occasione di una sua memorabile esibizione a Bari, presso la libreria Laterza, nominò la mia associazione di provenienza (l’interlocutore di Barbero glissò e cominciò a farfugliare, guarda caso, di lega Nord al “compagno” Barbero).
Non mi si può dunque sospettare di complicità filo sabaude e filo barberiane. Ma la postfazione curata da Barbero al libro di Mottola è chirurgica. Non c’è nessun delirio di onnipotenza filo sabaudo. Condivisibile, tranne che nelle conclusioni, vale la pena di riportarne alcuni passaggi.
“L’effetto più triste della commedia dei primati è che scredita anche i primati autentici, che non mancavano, e trasforma in barzelletta una realtà complessa, contraddittoria, e culturalmente ricca come quella della società meridionale del Sette-Ottocento. Perché come si fa a ragionare seriamente su realtà sorprendenti come il primo treno, la prima nave a vapore, il primo ponte sospeso d’Italia, quando vediamo affiancati a questi fatti pure e semplici millanterie come la prima cattedra di economia al mondo nel 1754 (in realtà ad Halle nel 1727), il primo museo mineralogico del mondo nel 1801 (in realtà a Parigi nel 1794), il primo orto botanico d’Italia nel 1807 (in realtà a Pisa nel 1544), il primo osservatorio astronomico in Italia nel 1819 (in realtà a Padova nel 1725) e si potrebbe continuare, in un crescendo di ridicolo? Questa riduzione della storia meridionale a uno slogan da tifosi di calcio (mai sentito il coro “Siamo noi, siamo noi, i padroni dell’Italia siamo noi?” ecco il livello intellettuale è lo stesso) è tanto più deprimente in quanto perfino questi elenchi di primati fasulli, se letti in un’altra ottica, raccontano una storia seria e avvincente […] C’è spazio, dunque, per un’analisi basata sui fatti, che recuperi la storia economica del Mezzogiorno preunitario rigettando la buffonesca mitologia dei primati e riflettendo invece sul livello per molti versi simile raggiunto all’epoca dalle diverse parti dell’Italia. Livello, beninteso, tutt’altro che entusiasmante, e che spiega come mai da allora in poi l’Italia unita abbia sempre oscillato fra l’essere l’ultima delle grandi potenze e il primo dei paesi minori, fra il competere con Francia, Inghilterra, Germania e il confrontarsi con Spagna, Irlanda, Grecia e Portogallo”.
La conclusione è una sola. Che il libro di Mottola lo compriate o no, è un libro dove, pur affermandosi qualche verità, lo si fa in modo strumentale contro le nostre ragioni (non i nostri primati). Mottola, in quanto a metodo, sta sullo stesso piano dei primatisti. Leggenda nera e leggenda rosa che si sfidano ancora una volta secondo un copione troppo spesso visto in questi venti anni (mentre, nello stesso lasso di tempo, le condizioni del Sud sono peggiorate più che mai). E, a proposito di storici seri, ecco perché ho aperto con una citazione dell’amico Valentino Romano, che (in altro contesto) spiega come “si fa” ricerca storica.
Roberto Della Rocca


giovedì 20 novembre 2014

IL "PRIMATO" DEL REGNO DELLE DUE SICILIE / / / Recensione di Dario Fasano apparsa sul "Corriere del Mezzogiorno" del 18/XI/2014

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COMPARE MI VENDI UNA SCARPA / / / Recensione di Marcello Buttazzo apparsa su "Spagine della domenica"

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COMPARE MI VENDI UNA SCARPA / / / Recensione di Giuliana Giuliana Coppola apparsa su "Spagine della domenica" n. 45

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COMPARE MI VENDI UNA SCARPA? / / / Recensione a firma di Raffaella Verdesca


“Le acque cristalline dei ricordi”
-Un tuffo con Rocco Boccadamo
   

Nell’opera letteraria di Rocco Boccadamo dal titolo “Compare, mi vendi una scarpa?” è entusiasmante per il lettore saltare a piedi nudi da una storia all’altra.
Si tratta di sentieri che partono dal presente e ripercorrono il passato senza incertezze, mappe tracciate con cura da una scrittura elegante, tanto semplice nei contenuti quanto ricercata nella tessitura della forma.
Inutile in questo cammino la discriminante delle calzature allo stesso modo di quella delle classi sociali e dei luoghi comuni, visto che lo scrittore offre a tutti i presenti un emozionante viaggio di ritorno alle origini attraverso la riscoperta di un Salento puro nei legami, mentre agli assenti regala un biglietto di andata, a bordo della memoria, verso il Salento di oggi. Splendida azione di marketing a beneficio della nostalgia di chi scrive, della conoscenza di chi legge e dell’onore di chi manca.
Sfilano nelle pagine suggestivi episodi di vita filtrati dalla testimonianza diretta di Boccadamo, ed è singolare vederli associati ai nomi appuntati e ai soprannomi per intero di personaggi antichi, spesso parenti e amici, che della dignità e dell’ingegno fecero baluardo utile a non identificare più la società contadina nello stallo di ogni individualità fattiva, ma a riscoprirla come individualità armonica e sociale.
‘Il ragazzo di ieri’, come ama definirsi il nostro autore, ritorna più volte col pensiero alla culla del suo divenire, il paesino natio di Marittima con le sue scogliere degradanti verso il mare, i Serriti, la vicina Castro con via Frasciule, Largo Campurra e l’amato rione dell’Ariacorte, luogo votato all’incontro e al confronto, per inclinazione naturale, di ogni generazione: “Si conosceva tutto di tutti”, scrive Rocco, e non certo per semplice gossip ma per interesse dettato dal sentimento.
Chiaro l’intento di Boccadamo: niente deve passare nel dimenticatoio, a cominciare dagli antichi mestieri e attività tradizionali per finire ai riti religiosi dei piccoli borghi del Salento del Sud.
Ed è favola, ed è vita.
Chi è costretto alla lontananza dalla propria terra per lavoro o per qualsivoglia motivo sa bene come l’affinamento dei ricordi sia uno dei pochi rimedi efficaci contro il dolore dell’assenza, la sola consolazione allo strappo dagli affetti più cari.
Tutto si ricompone e torna a vivere nella potente magia della memoria, tutto si trasfigura nella delicatezza della poesia che nasce da colori e profumi familiari.     
Esistono terre che non sai e terre che ti porti dentro come cellule dell’anima.
Non occorre un testo di ‘Anatomia umana’ per andare a scovarle, né un brevetto da sub per scendere in profondità e recuperarne la memoria, basta solo lasciarsi guidare da chi è diventato uomo grazie all’esempio delle persone, ovvero attraverso il massimo livello della scala dei valori, a detta di Boccadamo stesso, il ‘ragazzo di ieri’ e il gentiluomo di oggi.
La nobiltà d’animo del nostro autore e quella sua ironia macchiata di malinconia rendono cristallini i ricordi allo stesso modo del suo mare, mare amato di Castro, mare dei Serriti, dei Porticelli, mare che perfino l’imponente carrubo nel giardino di casa riconosce amico e fratello.
Compare Rocco, ci concedi un tuffo?


Raffaella Verdesca