LA RECENSIONE / Voi inventate i primati? Mottola brinda con Barbero e champagne!
Di una cosa però sono orgoglioso: nell’analisi storica non parto da preconcette posizioni ideologiche per interpretare i fatti e i documenti per addomesticarli alle mie convinzioni; applico sempre questo metodo e mi ritengo perciò – piaccia o non piaccia- intellettualmente onesto, riconoscendomi pienamente nella definizione salveminiana di onestà dello storico. Tanto per fare un esempio, se scelgo di valutare i “documenti ufficiali”, lo faccio sempre cercando di valutare ogni singolo documento anche e soprattutto per le motivazioni e gli obiettivi che lo hanno generato. Poi li valuto tutti allo stesso modo e con lo stesso metro, non ne elevo cioè uno a rango di “verità assoluta” , solo perché contiene ciò che a me piace leggere e ne disconosco un altro perché contrario alle mie convinzioni. Detto in parole povere e portando il discorso a maggior concretezza, se devo ritenere “bibbia” un documento dei Borbone o una rivista di parte, poi devo fare altrettanto con quelli savoiardi. Questo, per inciso, si chiamerebbe “metodo” e “coerenza scientifica”. Ma, preferisco la religione del dubbio, dello scavo delle ragioni reali dei singoli fatti, dell’analisi dei meccanismi sottostanti e retrostanti. Ciò mi ha portato finora a non salire in cattedra e a non propalare inesattezze, esagerazioni e interpretazioni parziali, evitando – tra l’altro – di prestare il fianco alle facili confutazioni di chi non la pensa come noi. Se poi questo, nel cosiddetto mondo revisionista, è un limite e un difetto … ebbene io ne sono … affetto e me ne dichiaro vittima!”
Valentino Romano
Scomodo il Signor G e la sua musica per dare un titolo a quest’ennesima, premiatissima, parrucconeria in salsa tricolore. Il libro di José Mottola “Il primato del Regno delle Due Sicilie” è quanto di peggio potesse capitare al, fin troppo sgangherato, mondo (cosiddetto) meridionalista (intendendo per meridionalista l’insieme delle molteplici varianti di un fenomeno che, solo a partire dalle loro definizioni, andrebbe analizzato da un team congiunto di socio-psicologi). E’ quanto di peggio potesse capitare perché, sfruttando un titolo ai limiti dell’ambiguità (anche se l’annuncio, fin dalla copertina, della postfazione di Alessandro Barbero lascia poco spazio ai dubbi), si avvia a distruggere in modo scientifico il “primatismo” come elemento di metodologia e di indagine storiografica. Ovviamente tutto confluisce in un magistrale discorso a tinte tricolori a far da sfondo all’immagine di un Regno delle Due Sicilie fatto a pezzi.
Il problema è che, seppur l’autore abbia ben noti i nomi e i cognomi di queste varianti meridionaliste (e sono, nero su bianco, fin da pagina 5), l’operazione smonta primati si trasforma in una operazione smonta revisionismo storico. Basta guardare la bibliografia a cui si è “abbeverato” Mottola, prima di cimentarsi nell’immane impresa. Basti pensare che, in certi passi, ha l’ambizione di smentire Nitti. Ambizione, per uno che parla della Legge Pica come di uno strumento necessario, davvero troppo grande.
E’ impressionante la derisione che José Mottola opera verso un gruppo di “meridionalisti” tutti allineati in un manifesto sul brigantaggio dove, ovviamente, sono riportati numeri alla rinfusa. Da notare un milione di morti a fronte di soli 500.000 feriti, è un dato statistico contrario alla logica.
In nessuna guerra si registra un numero di morti inferiore al numero dei feriti, basti pensare alla battaglia di Sedan (i francesi persero 3mila uomini e registrarono 14mila feriti; i prussiani 2320 morti e 5980 feriti) o a quella del Volturno (i napoletani ebbero 300 morti e più di 800 feriti; i sardo-garibaldini 300 morti e 1328 feriti).
Mottola, sapendo di avere partita facile, chiede, ovviamente, di tirare fuori le prove e le testimonianze di questa milionata di cadaveri. E il manifesto sul brigantaggio riportato nel libro di Mottola è l’incarnazione di quella metodologia del primato tanto cara agli analfabeti, anzi, come direbbe qualcuno molto più in alto di me, ai neoanalfabeti, che sta banalizzando così anni e anni di ricerche e di studi.
Si prende un pizzico, ma non troppo, di verità storica e lo isola dal proprio contesto. Nella maggior parte dei casi, e lo abbiamo visto sia con lo scalatore del monte Bianco che con il terzo posto quale potenza industriale mondiale in una presunta esposizione industriale parigina del 1856, si inventa praticamente da 0.
Come che sia il processo di formazione, e se il primato sia totalmente falso oppure vero, il risultato è sempre lo stesso. L’aver estrapolato una parte della realtà storica che, nella migliore delle ipotesi (quella di primato vero) non ti rende capace di comprende un beneamato tubo sul contesto e ti illude di essere di fronte a una verità totalizzante. Così si sostituisce la leggenda nera alla leggenda rosa. Così si offre una chance a scrittori come Mottola che, pur partendo da Sud, aderiscono all’idea tricolorata di patria sfruttando la metodologia del primato, come un grimaldello per forzare le porte del revisionismo anti risorgimentale.
Eppure non riesco ad essere cattivo né con Mottola, né con Capone (forse la veste grafico-editoriale poteva essere curata meglio) ma solo con chi fornisce loro le armi di aggressione. Un esempio di quanto possa essere distorta la realtà storica pur citando autori precedenti mi è capitato recentemente leggendo un libro del giornalista britannico Francis Wheen su Marx, dunque distinto e distante dai nostri argomenti epifenomenici. In questo testo si riporta un brano di un lavoro giovanile del filosofo di Treviri sulla Questione Ebraica. Si legge testualmente:
“Qual è il fondamento mondano del giudaismo? Il bisogno pratico, l’egoismo. Qual è il culto mondano dell’ebreo? Il traffico. Qual è il suo Dio mondano? Il denaro. Noi riconosciamo dunque nel giudaismo un universale elemento attuale antisociale, il quale, attraverso lo sviluppo storico cui gli ebrei per questo lato cattivo hanno collaborato con zelo, venne sospinto fino al suo presente vertice, un vertice sul quale deve necessariamente dissolversi. L’emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo è l’emancipazione dell’umanità dal giudaismo”.
Marx, filosofo tedesco di origine ebree si esprime contro gli ebrei. Prendendo un pezzettino di realtà, pare proprio di sì. Poi prendi la Questione ebraica e scopri che le frasi sono estrapolate, ad arte, da un libretto polemico scritto in risposta al filosofo Bruno Bauer, che sosteneva la necessità di non allargare i diritti civili agli ebrei, dunque capisci che Marx scriveva in difesa degli ebrei.
Un paradosso, ma è esattamente quanto capita con il primatismo come metodo. Che la prima ferrovia in Italia sia stata realizzata a Napoli è un fatto oggettivo. Che il primo scalatore del monte Bianco fosse un genovese repubblicano, mazziniano e senatore del regno d’Italia è un fatto oggettivo, con buona pace degli epifenomeni.
Quando è nato il primatismo? La necessità di creare un elenco di primati non rappresenta nient’altro che il “lato scuro” della leggenda risorgimentalista oltre che una risposta, piuttosto inoffensiva, al leghismo rampante dei primi anni ’90. Se ci fosse stato un vero interesse verso la millenaria storia del Sud non si sarebbero concentrati soltanto su alcuni aneddoti del periodo borbonico.
Il libro di Mottola si configura dunque come la peggiore critica possibile al primatismo giacché da critica al primato punta a mettere, nero su bianco, un elogio al tricolore e all’italianità affidandosi non a contro primati ma ad una bibliografia e a delle ricerche scientificamente credibili, seppur parziali e non conclusive.
Quando, sconsideratamente Alessandro Barbero a Superquark parlò per la prima volta in tv di Fenestrelle, usò dei toni poco consoni per un accademico, a cui feci seguire un articolo che spedii alla redazione della trasmissione. Tantò gli andò storto quell’articolo che il professor Barbero (fine medievalista), in occasione di una sua memorabile esibizione a Bari, presso la libreria Laterza, nominò la mia associazione di provenienza (l’interlocutore di Barbero glissò e cominciò a farfugliare, guarda caso, di lega Nord al “compagno” Barbero).
Non mi si può dunque sospettare di complicità filo sabaude e filo barberiane. Ma la postfazione curata da Barbero al libro di Mottola è chirurgica. Non c’è nessun delirio di onnipotenza filo sabaudo. Condivisibile, tranne che nelle conclusioni, vale la pena di riportarne alcuni passaggi.
“L’effetto più triste della commedia dei primati è che scredita anche i primati autentici, che non mancavano, e trasforma in barzelletta una realtà complessa, contraddittoria, e culturalmente ricca come quella della società meridionale del Sette-Ottocento. Perché come si fa a ragionare seriamente su realtà sorprendenti come il primo treno, la prima nave a vapore, il primo ponte sospeso d’Italia, quando vediamo affiancati a questi fatti pure e semplici millanterie come la prima cattedra di economia al mondo nel 1754 (in realtà ad Halle nel 1727), il primo museo mineralogico del mondo nel 1801 (in realtà a Parigi nel 1794), il primo orto botanico d’Italia nel 1807 (in realtà a Pisa nel 1544), il primo osservatorio astronomico in Italia nel 1819 (in realtà a Padova nel 1725) e si potrebbe continuare, in un crescendo di ridicolo? Questa riduzione della storia meridionale a uno slogan da tifosi di calcio (mai sentito il coro “Siamo noi, siamo noi, i padroni dell’Italia siamo noi?” ecco il livello intellettuale è lo stesso) è tanto più deprimente in quanto perfino questi elenchi di primati fasulli, se letti in un’altra ottica, raccontano una storia seria e avvincente […] C’è spazio, dunque, per un’analisi basata sui fatti, che recuperi la storia economica del Mezzogiorno preunitario rigettando la buffonesca mitologia dei primati e riflettendo invece sul livello per molti versi simile raggiunto all’epoca dalle diverse parti dell’Italia. Livello, beninteso, tutt’altro che entusiasmante, e che spiega come mai da allora in poi l’Italia unita abbia sempre oscillato fra l’essere l’ultima delle grandi potenze e il primo dei paesi minori, fra il competere con Francia, Inghilterra, Germania e il confrontarsi con Spagna, Irlanda, Grecia e Portogallo”.
La conclusione è una sola. Che il libro di Mottola lo compriate o no, è un libro dove, pur affermandosi qualche verità, lo si fa in modo strumentale contro le nostre ragioni (non i nostri primati). Mottola, in quanto a metodo, sta sullo stesso piano dei primatisti. Leggenda nera e leggenda rosa che si sfidano ancora una volta secondo un copione troppo spesso visto in questi venti anni (mentre, nello stesso lasso di tempo, le condizioni del Sud sono peggiorate più che mai). E, a proposito di storici seri, ecco perché ho aperto con una citazione dell’amico Valentino Romano, che (in altro contesto) spiega come “si fa” ricerca storica.
Roberto Della Rocca