Da Croce al Salento:ombre e luci del Mezzogiorno
di Felice Laudadio jr.
C’era una volta un lungo stivale, con la testa in Europa e il tacco nel Mediterraneo. Un Paese riunito dalla storia e che divide gli storici. Una nazione di diversi, ma uniti, che senza darci peso si chiamavanopolentoni e terroni, quasi per gioco. Poi, la curiosità ha ceduto all’egoismo e le differenze tra Nord e Sud oggi sembrano insuperabili. I veleni di Bossi hanno intossicato tutti, in pochi decenni. Vista da Nord, l’Italia meridionale è marchiata a fuoco come una terra senza speranza, abbandonata ai clan, al familismo amorale, al clientelismo. Invivibile, in coda a tutte le classifiche, per l’incapacità degli amministratori e lo scarso senso civico degli amministrati. Da Sud si replica, brontolando, ch’è tutta colpa dell’egoismo del Settentrione, che le eccellenze nel Mezzogiorno ci sono, come nel Nord e che qui si è anche più svegli e intelligenti. Sarebbe ora, invece – ma non si fa, troppa fatica – di darsi da fare contro il familismo, il clientelismo, i clan, che purtroppo rallentano la crescita del Meridione e di cancellare le sacche di assistenzialismo, autentiche palle al piede. Si preferisce piangere di tesori rubati, di un regno borbonico, presunto paradiso violato, beffato con l’unificazione da una famiglia regnante savoiarda e francofona. È vero che Re Vittorio parlava solo piemontese col conte Camillo Benso & C., ma Cavour diceva pure che, offerte “buone leggi al Sud”, anche i meridionali sarebbero stati una risorsa per l’Italia unita. Sì, il piccolo Piemonte con le sue manie di grandezza ha cancellato nel 1860 il più antico e grande stato d’Italia, il regno del Sud, creato dai Normanni dopo il Mille, ma è stato un male necessario, parola di Benedetto Croce. Per il principale ideologo dello storicismo, non sarebbe stato possibile all’Italia meridionale entrare “da sola nella nuova via nazionale”.
Sicché, Croce giustifica il modo in cui il Mezzogiorno è stato unito al Regno di Sardegna, lo trova “inevitabile e benefico”. È un giudizio che ha deluso molti storiografi attuali, a cominciare da Giuseppe Galasso, passando da Angelo Panarese, autore alberobellese per l’editore Capone di Lecce del saggio “Storia del Regno di Napoli. Un confronto con Benedetto Croce”, 168 pag. 13 euro. L’interesse del saggista pugliese nasce intorno alla celebrazione dei centocinquanta anni dell’Unità e al dibattito sulla condizione di subalternità del Mezzogiorno in cui il processo si è sviluppato. Per “una maggiore conoscenza delle problematiche del Sud e una più profonda consapevolezza dei limiti storici del processo di unificazione italiana”, sembra “opportuno” al ricercatore pugliese – già sindaco di Alberobello – rileggere in chiave critica lo scritto crociano, che ripercorre la vicenda storica meridionale dai Vespri del 1282 al 1861. Intanto, resta il nucleo fondante della concezione dello storico di Pescasseroli: la destrutturazione del Regno di Napoli è stata non solo inevitabile, ma indispensabile, l’unico mezzo per conseguire una più larga vita nazionale e risolvere “gli stessi problemi che travagliavano l’Italia del mezzogiorno”.
Croce non aveva una concezione negativa della storia e del ruolo del Regnum, ma non apprezzava la classe dirigente meridionale, restringendo la stima alla sola categoria della cultura, agli intellettuali. Nella sua visione, spicca il rapporto strettmo tra Mezzogiorno, Italia ed Europa. Prima coi normanni, poi con svevi, angioini, aragonesi, il più vasto stato italiano è stato in competizione e spesso in lotta coi Paesi del Mediterraneo occidentale, dal nord Africa alla penisola iberica e alla Francia. Cosa sarebbe la storia del Regno di Napoli senza la Spagna e cosa la storia d’Italia senza il Regno del Sud? È quello che ci si può domandare, con Croce. L’arretratezza del ceto amministrativo borbonico stava sabotando questo contribuito alle vicende continentali, relegando il reame duosiciliano in un isolamento, tutt’altro che splendido. Agli occhi di un osservatore inglese, lo storico Bolton King, nessuno stato in Italia poteva vantare istituzioni come quelle delle Due Sicilie, ma “la corruzione dilaga in ogni branca dell’amministrazione e contagia tutto, Napoli ha il codice più illuminato, in pratica però l’unica legge è l’arbitrio”.
Non poteva restare, insomma, il “paradiso abitato da diavoli” che tanto aveva impressionato Goethe. Quanto all’eden – per evadere da una materia impegnativa come la critica storica – eccolo, in forma di paesaggio abitato, tra le meraviglie del Tacco, nell’ultimissima Guida dell’editore salentino, “Il Salento da Ostuni a Leuca. Dal mare all’entroterra delle province di Brindisi, Taranto e Lecce”, 160 pag. 12 euro, di Lorenzo ed Enrico Capone, padre e figlio. Curioso come le loro pubblicazioni turistico-geografiche riescano sempre nuove, ricche di angoli insoliti, di immagini inedite, ancora capaci di prospettive e spazi tuttora poco esplorati. È merito delle novità tecnologiche, ma quando i prodigi della fotografia digitale non bastano, il miracolo lo fa la curiosità inesauribile degli autori. È il caso, e non solo, dei diorami della Grotta dei Cervi di Porto Badisco: i pittogrammi di ignoti decoratori preistorici non sono mai stati tanto nitidi.
Salento attraente. Terra da visitare: eccoli i centri storici, le coste e le spiagge, gli splendidi fotocolor di Lecce, la capitale del barocco. Sì, perché le meraviglie non sono solo settentrionali: strade larghe e treni sotterranei e ascensori veloci e scale mobili e tappeti a motore, quasi che Napoli, Palermo e Bari restino semplici villaggi. Il Nord non è tutto metropoli e modernità, come la civiltà meridionale non è solo delinquenza e passione. Non è possibile tracciare una retta sulla cartina e dividere i buoni nella parte alta dello stivale dai cattivi in basso. Anche Varese è “ladrona”, le casseforti leghiste lo confermano e la mano rapace delle ‘ndrine calabresi non è entrata forse nelle asl lombarde? Non c’è un Nord onesto e un Sud malamente. Se così fosse, avrebbe ragione Bossi. “E Bossi è un galantuomo”, direbbe l’Antonio di Shakespeare. Ed è anche l’eleganza fatta persona, con le sue canottiere a vista. Ma in una piazza del Sud, di domenica sera, c’è mai stato?
Link originario: Blogautore di La Repubblica
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