venerdì 28 novembre 2014

"LECCE, MIRABILI ITINERARI", di Silvia Famularo e Luigiantonio Montefusco, con Presentazione di Rino Bianco / / / disponibile dal 3 dicembre 2014








Lecce, mirabili itinerari

Sarà disponibile dal 3 dicembre 2014 Lecce, mirabili itinerari (nei quattro portaggi, tra luoghi e personaggi, aneddoti e curiosità, storia e leggenda), di Silvia Famularo e Luigiantonio Montefusco. Presentazione di Rino Bianco.
«[...] L’immagine di Lecce “città d’arte”, come centro urbano ricco di storia e monumenti, non è recente essendo stata riportata da uomini di cultura e della nobiltà europea che si sono avventurati nel sud d’Italia nei secoli dei grands tours. Pioniere è stato il filosofo inglese George Berkeley che scrivendo ad un suo amico del suo “Viaggio in Italia” riferiva dell’esuberanza architettonica di Lecce: “la più bella città italiana si trova in un lontano angolo del tacco…è, per i suoi ornamenti architettonici, la città più fastosa che abbia mai visto”.
Porta Rudiae
[...] Attualmente gli itinerari di visita del centro storico di Lecce si dipanano da Porta Napoli (Porta San Giusto), Porta Rudiae e Porta San Biagio lungo le direttrici, rappresentate rispettivamente da via Palmieri, via G. Libertini - corso Vittorio Emanuele II, via dei Perroni -via F. D’Aragona, corrispondenti ad assi viari dell’impianto romano, che convergono verso il cuore della città: piazza Duomo e piazza Sant’Oronzo (piazza dei Mercanti fino al 1871).
[...] Si tratta di percorsi illustrati nella gran parte dell’editoria divulgativa su Lecce, che tuttavia talora esclude strade e monumenti posti ai margini delle direttrici sopracitate. Basti pensare a piazzetta Tancredi con la chiesa del Carmine, a via Principi di Savoia, a piazza dei Peruzzi o a via Conte Accardo con le chiese di San Francesco e San Giovanni Evangelista, quest’ultima palinsesto della storia cittadina fin dal XII secolo.
[...] All’interno dei “portaggi”, nella descrizione dei singoli monumenti, gli Autori evidenziano il geometrismo classicheggiante tardorinascimentale, base ed ossatura dell’architettura salentina, su cui si innestano schemi e motivi decorativi elaborati localmente, apparentemente simili e ripetitivi e che in realtà rispondono a gusti e stilemi succedutisi nell’arco di circa tre secoli e che un attento esame può collocare tra rinascimento e cd. “barocco fiorito”.
Porta San Biagio
[...] Ma è nella fabbrica di Santa Croce e dell’adiacente palazzo dei Celestini e nel complesso di piazza Duomo che genialmente si fondono in un insieme spettacolare e dinamico le diverse esperienze e i linguaggi artistici del Riccardi, degli Zimbalo, dei Manieri e di Cino.
[...] Ora viene in soccorso il lavoro di Silvia Famularo e Luigiantonio Montefusco, che consente un’inedita visita del centro città attraverso i quattro “Portaggi” e le tante, quasi sconosciute, “insulae” poste al loro interno. Ne viene fuori un’inedita imago urbis fondata sulle fortificazioni e sulle grandi porte che immettevano nei relativi “portaggi” attraversando isolati (insulae) fatti di chiese e monasteri e di palazzi pubblici e privati, che erano utili riferimenti topografici e di orientamento nel vivere quotidiano».

Passi tratti dalla Presentazione di Rino Bianco

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Gli autori:
Porta San Martino
Silvia Famularo, giornalista, ha collaborato con diverse testate radio-televisive e della carta stampata.
Ha curato numerose rubriche di approfondimento su tematiche culturali e sociali, in particolar modo dedicandosi alla realizzazione di programmi di carattere storico ed artistico.
Ha pubblicato: Salento. Splendide dimore (2004), Le piazze del Salento (2005) e Conventi e Monasteri del Salento (2006).
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Luigiantonio Montefusco, docente di materie letterarie negli Istituti di istruzione di secondo grado, è nato e vive a Lecce;cultore di storia, arte ed araldica salentina, ha collaborato a riviste culturali come “Rassegna Salentina” e “Nuovi Orientamenti”; ha scritto numerose opere, tra cui Le successione feudali in Terra d’Otranto (in due voll.), Lecce nobilissima, Salento nobilissimo, Nobiltà nel Salento, Parchi e giardini del Salento, Salento. Splendide dimore, Stemmario di Terra d’Otranto.
Ha partecipato a diverse trasmissioni televisive, ha collaborato con l’Università degli Studi di Lecce, ed è stato relatore in convegni quali quello su Maria d’Enghien, su Giuseppe Candido e su Giuseppe Zimbalo.
Ha condotto a Lecce e nel Salento alcuni dopocena culturali per conto dello Speleotrekking Salento.


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Caratteristiche tecniche
Silvia Famularo, Luigiantonio Montefusco, Lecce, mirabili itinerari (nei quattro portaggi, tra luoghi e personaggi, aneddoti e curiosità, storia e leggenda), con Presentazione di Rino Bianco.
Pagine 128, interamente a colori, cartonato con sovraccoperta e racchiuso in un elegante cofanetto.
Il volume è posto in vendita al prezzo di copertina di € 40,00 - ISBN: 978-88-8349-195-5



venerdì 21 novembre 2014

IL "PRIMATO" DEL REGNO DELLE DUE SICILIE / / / Recensione a firma di Roberto Della Rocca apparsa su "Identità insorgenti" il 17/XI/2014


LA RECENSIONE / Voi inventate i primati? Mottola brinda con Barbero e champagne!



Di una cosa però sono orgoglioso: nell’analisi storica non parto da preconcette posizioni ideologiche per interpretare i fatti e i documenti per addomesticarli alle mie convinzioni; applico sempre questo metodo e mi ritengo perciò – piaccia o non piaccia- intellettualmente onesto, riconoscendomi pienamente nella definizione salveminiana di onestà dello storico. Tanto per fare un esempio, se scelgo di valutare i “documenti ufficiali”, lo faccio sempre cercando di valutare ogni singolo documento anche e soprattutto per le motivazioni e gli obiettivi che lo hanno generato. Poi li valuto tutti allo stesso modo e con lo stesso metro, non ne elevo cioè uno a rango di “verità assoluta” , solo perché contiene ciò che a me piace leggere e ne disconosco un altro perché contrario alle mie convinzioni. Detto in parole povere e portando il discorso a maggior concretezza, se devo ritenere “bibbia” un documento dei Borbone o una rivista di parte, poi devo fare altrettanto con quelli savoiardi. Questo, per inciso, si chiamerebbe “metodo” e “coerenza scientifica”. Ma, preferisco la religione del dubbio, dello scavo delle ragioni reali dei singoli fatti, dell’analisi dei meccanismi sottostanti e retrostanti. Ciò mi ha portato finora a non salire in cattedra e a non propalare inesattezze, esagerazioni e interpretazioni parziali, evitando – tra l’altro – di prestare il fianco alle facili confutazioni di chi non la pensa come noi. Se poi questo, nel cosiddetto mondo revisionista, è un limite e un difetto … ebbene io ne sono … affetto e me ne dichiaro vittima!”
Valentino Romano

Scomodo il Signor G e la sua musica per dare un titolo a quest’ennesima, premiatissima, parrucconeria in salsa tricolore. Il libro di José Mottola “Il primato del Regno delle Due Sicilie” è quanto di peggio potesse capitare al, fin troppo sgangherato, mondo (cosiddetto) meridionalista (intendendo per meridionalista l’insieme delle molteplici varianti di un fenomeno che, solo a partire dalle loro definizioni, andrebbe analizzato da un team congiunto di socio-psicologi). E’ quanto di peggio potesse capitare perché, sfruttando un titolo ai limiti dell’ambiguità (anche se l’annuncio, fin dalla copertina, della postfazione di Alessandro Barbero lascia poco spazio ai dubbi), si avvia a distruggere in modo scientifico il “primatismo” come elemento di metodologia e di indagine storiografica. Ovviamente tutto confluisce in un magistrale discorso a tinte tricolori a far da sfondo all’immagine di un Regno delle Due Sicilie fatto a pezzi.
Il problema è che, seppur l’autore abbia ben noti i nomi e i cognomi di queste varianti meridionaliste (e sono, nero su bianco, fin da pagina 5), l’operazione smonta primati si trasforma in una operazione smonta revisionismo storico. Basta guardare la bibliografia a cui si è “abbeverato” Mottola, prima di cimentarsi nell’immane impresa. Basti pensare che, in certi passi, ha l’ambizione di smentire Nitti. Ambizione, per uno che parla della Legge Pica come di uno strumento necessario, davvero troppo grande.
E’ impressionante la derisione che José Mottola opera verso un gruppo di “meridionalisti” tutti allineati in un manifesto sul brigantaggio dove, ovviamente, sono riportati numeri alla rinfusa. Da notare un milione di morti a fronte di soli 500.000 feriti, è un dato statistico contrario alla logica.
In nessuna guerra si registra un numero di morti inferiore al numero dei feriti, basti pensare alla battaglia di Sedan (i francesi persero 3mila uomini e registrarono 14mila feriti; i prussiani 2320 morti e 5980 feriti) o a quella del Volturno (i napoletani ebbero 300 morti e più di 800 feriti; i sardo-garibaldini 300 morti e 1328 feriti).
Mottola, sapendo di avere partita facile, chiede, ovviamente, di tirare fuori le prove e le testimonianze di questa milionata di cadaveri. E il manifesto sul brigantaggio riportato nel libro di Mottola è l’incarnazione di quella metodologia del primato tanto cara agli analfabeti, anzi, come direbbe qualcuno molto più in alto di me, ai neoanalfabeti, che sta banalizzando così anni e anni di ricerche e di studi.
Si prende un pizzico, ma non troppo, di verità storica e lo isola dal proprio contesto. Nella maggior parte dei casi, e lo abbiamo visto sia con lo scalatore del monte Bianco che con il terzo posto quale potenza industriale mondiale in una presunta esposizione industriale parigina del 1856, si inventa praticamente da 0.
Come che sia il processo di formazione, e se il primato sia totalmente falso oppure vero, il risultato è sempre lo stesso. L’aver estrapolato una parte della realtà storica che, nella migliore delle ipotesi (quella di primato vero) non ti rende capace di comprende un beneamato tubo sul contesto e ti illude di essere di fronte a una verità totalizzante. Così si sostituisce la leggenda nera alla leggenda rosa. Così si offre una chance a scrittori come Mottola che, pur partendo da Sud, aderiscono all’idea tricolorata di patria sfruttando la metodologia del primato, come un grimaldello per forzare le porte del revisionismo anti risorgimentale.
Eppure non riesco ad essere cattivo né con Mottola, né con Capone (forse la veste grafico-editoriale poteva essere curata meglio) ma solo con chi fornisce loro le armi di aggressione. Un esempio di quanto possa essere distorta la realtà storica pur citando autori precedenti mi è capitato recentemente leggendo un libro del giornalista britannico Francis Wheen su Marx, dunque distinto e distante dai nostri argomenti epifenomenici. In questo testo si riporta un brano di un lavoro giovanile del filosofo di Treviri sulla Questione Ebraica. Si legge testualmente:
“Qual è il fondamento mondano del giudaismo? Il bisogno pratico, l’egoismo. Qual è il culto mondano dell’ebreo? Il traffico. Qual è il suo Dio mondano? Il denaro. Noi riconosciamo dunque nel giudaismo un universale elemento attuale antisociale, il quale, attraverso lo sviluppo storico cui gli ebrei per questo lato cattivo hanno collaborato con zelo, venne sospinto fino al suo presente vertice, un vertice sul quale deve necessariamente dissolversi. L’emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo è l’emancipazione dell’umanità dal giudaismo”.
Marx, filosofo tedesco di origine ebree si esprime contro gli ebrei. Prendendo un pezzettino di realtà, pare proprio di sì. Poi prendi la Questione ebraica e scopri che le frasi sono estrapolate, ad arte, da un libretto polemico scritto in risposta al filosofo Bruno Bauer, che sosteneva la necessità di non allargare i diritti civili agli ebrei, dunque capisci che Marx scriveva in difesa degli ebrei.
Un paradosso, ma è esattamente quanto capita con il primatismo come metodo. Che la prima ferrovia in Italia sia stata realizzata a Napoli è un fatto oggettivo. Che il primo scalatore del monte Bianco fosse un genovese repubblicano, mazziniano e senatore del regno d’Italia è un fatto oggettivo, con buona pace degli epifenomeni.
Quando è nato il primatismo? La necessità di creare un elenco di primati non rappresenta nient’altro che il “lato scuro” della leggenda risorgimentalista oltre che una risposta, piuttosto inoffensiva, al leghismo rampante dei primi anni ’90. Se ci fosse stato un vero interesse verso la millenaria storia del Sud non si sarebbero concentrati soltanto su alcuni aneddoti del periodo borbonico.
Il libro di Mottola si configura dunque come la peggiore critica possibile al primatismo giacché da critica al primato punta a mettere, nero su bianco, un elogio al tricolore e all’italianità affidandosi non a contro primati ma ad una bibliografia e a delle ricerche scientificamente credibili, seppur parziali e non conclusive.
Quando, sconsideratamente Alessandro Barbero a Superquark parlò per la prima volta in tv di Fenestrelle, usò dei toni poco consoni per un accademico, a cui feci seguire un articolo che spedii alla redazione della trasmissione. Tantò gli andò storto quell’articolo che il professor Barbero (fine medievalista), in occasione di una sua memorabile esibizione a Bari, presso la libreria Laterza, nominò la mia associazione di provenienza (l’interlocutore di Barbero glissò e cominciò a farfugliare, guarda caso, di lega Nord al “compagno” Barbero).
Non mi si può dunque sospettare di complicità filo sabaude e filo barberiane. Ma la postfazione curata da Barbero al libro di Mottola è chirurgica. Non c’è nessun delirio di onnipotenza filo sabaudo. Condivisibile, tranne che nelle conclusioni, vale la pena di riportarne alcuni passaggi.
“L’effetto più triste della commedia dei primati è che scredita anche i primati autentici, che non mancavano, e trasforma in barzelletta una realtà complessa, contraddittoria, e culturalmente ricca come quella della società meridionale del Sette-Ottocento. Perché come si fa a ragionare seriamente su realtà sorprendenti come il primo treno, la prima nave a vapore, il primo ponte sospeso d’Italia, quando vediamo affiancati a questi fatti pure e semplici millanterie come la prima cattedra di economia al mondo nel 1754 (in realtà ad Halle nel 1727), il primo museo mineralogico del mondo nel 1801 (in realtà a Parigi nel 1794), il primo orto botanico d’Italia nel 1807 (in realtà a Pisa nel 1544), il primo osservatorio astronomico in Italia nel 1819 (in realtà a Padova nel 1725) e si potrebbe continuare, in un crescendo di ridicolo? Questa riduzione della storia meridionale a uno slogan da tifosi di calcio (mai sentito il coro “Siamo noi, siamo noi, i padroni dell’Italia siamo noi?” ecco il livello intellettuale è lo stesso) è tanto più deprimente in quanto perfino questi elenchi di primati fasulli, se letti in un’altra ottica, raccontano una storia seria e avvincente […] C’è spazio, dunque, per un’analisi basata sui fatti, che recuperi la storia economica del Mezzogiorno preunitario rigettando la buffonesca mitologia dei primati e riflettendo invece sul livello per molti versi simile raggiunto all’epoca dalle diverse parti dell’Italia. Livello, beninteso, tutt’altro che entusiasmante, e che spiega come mai da allora in poi l’Italia unita abbia sempre oscillato fra l’essere l’ultima delle grandi potenze e il primo dei paesi minori, fra il competere con Francia, Inghilterra, Germania e il confrontarsi con Spagna, Irlanda, Grecia e Portogallo”.
La conclusione è una sola. Che il libro di Mottola lo compriate o no, è un libro dove, pur affermandosi qualche verità, lo si fa in modo strumentale contro le nostre ragioni (non i nostri primati). Mottola, in quanto a metodo, sta sullo stesso piano dei primatisti. Leggenda nera e leggenda rosa che si sfidano ancora una volta secondo un copione troppo spesso visto in questi venti anni (mentre, nello stesso lasso di tempo, le condizioni del Sud sono peggiorate più che mai). E, a proposito di storici seri, ecco perché ho aperto con una citazione dell’amico Valentino Romano, che (in altro contesto) spiega come “si fa” ricerca storica.
Roberto Della Rocca


giovedì 20 novembre 2014

IL "PRIMATO" DEL REGNO DELLE DUE SICILIE / / / Recensione di Dario Fasano apparsa sul "Corriere del Mezzogiorno" del 18/XI/2014

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COMPARE MI VENDI UNA SCARPA / / / Recensione di Marcello Buttazzo apparsa su "Spagine della domenica"

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COMPARE MI VENDI UNA SCARPA / / / Recensione di Giuliana Giuliana Coppola apparsa su "Spagine della domenica" n. 45

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COMPARE MI VENDI UNA SCARPA? / / / Recensione a firma di Raffaella Verdesca


“Le acque cristalline dei ricordi”
-Un tuffo con Rocco Boccadamo
   

Nell’opera letteraria di Rocco Boccadamo dal titolo “Compare, mi vendi una scarpa?” è entusiasmante per il lettore saltare a piedi nudi da una storia all’altra.
Si tratta di sentieri che partono dal presente e ripercorrono il passato senza incertezze, mappe tracciate con cura da una scrittura elegante, tanto semplice nei contenuti quanto ricercata nella tessitura della forma.
Inutile in questo cammino la discriminante delle calzature allo stesso modo di quella delle classi sociali e dei luoghi comuni, visto che lo scrittore offre a tutti i presenti un emozionante viaggio di ritorno alle origini attraverso la riscoperta di un Salento puro nei legami, mentre agli assenti regala un biglietto di andata, a bordo della memoria, verso il Salento di oggi. Splendida azione di marketing a beneficio della nostalgia di chi scrive, della conoscenza di chi legge e dell’onore di chi manca.
Sfilano nelle pagine suggestivi episodi di vita filtrati dalla testimonianza diretta di Boccadamo, ed è singolare vederli associati ai nomi appuntati e ai soprannomi per intero di personaggi antichi, spesso parenti e amici, che della dignità e dell’ingegno fecero baluardo utile a non identificare più la società contadina nello stallo di ogni individualità fattiva, ma a riscoprirla come individualità armonica e sociale.
‘Il ragazzo di ieri’, come ama definirsi il nostro autore, ritorna più volte col pensiero alla culla del suo divenire, il paesino natio di Marittima con le sue scogliere degradanti verso il mare, i Serriti, la vicina Castro con via Frasciule, Largo Campurra e l’amato rione dell’Ariacorte, luogo votato all’incontro e al confronto, per inclinazione naturale, di ogni generazione: “Si conosceva tutto di tutti”, scrive Rocco, e non certo per semplice gossip ma per interesse dettato dal sentimento.
Chiaro l’intento di Boccadamo: niente deve passare nel dimenticatoio, a cominciare dagli antichi mestieri e attività tradizionali per finire ai riti religiosi dei piccoli borghi del Salento del Sud.
Ed è favola, ed è vita.
Chi è costretto alla lontananza dalla propria terra per lavoro o per qualsivoglia motivo sa bene come l’affinamento dei ricordi sia uno dei pochi rimedi efficaci contro il dolore dell’assenza, la sola consolazione allo strappo dagli affetti più cari.
Tutto si ricompone e torna a vivere nella potente magia della memoria, tutto si trasfigura nella delicatezza della poesia che nasce da colori e profumi familiari.     
Esistono terre che non sai e terre che ti porti dentro come cellule dell’anima.
Non occorre un testo di ‘Anatomia umana’ per andare a scovarle, né un brevetto da sub per scendere in profondità e recuperarne la memoria, basta solo lasciarsi guidare da chi è diventato uomo grazie all’esempio delle persone, ovvero attraverso il massimo livello della scala dei valori, a detta di Boccadamo stesso, il ‘ragazzo di ieri’ e il gentiluomo di oggi.
La nobiltà d’animo del nostro autore e quella sua ironia macchiata di malinconia rendono cristallini i ricordi allo stesso modo del suo mare, mare amato di Castro, mare dei Serriti, dei Porticelli, mare che perfino l’imponente carrubo nel giardino di casa riconosce amico e fratello.
Compare Rocco, ci concedi un tuffo?


Raffaella Verdesca

martedì 21 ottobre 2014

IL "PRIMATO" DEL REGNO DELLE DUE SICILIE / / / "Il 'primato' del Regno delle Due Sicilie", di José Mottola, con postfazioni di Alessandro Barbero e Gianfranco Liberati, presto disponibile in libreria


Capone Editore
Via prov.le Lecce-Cavallino Km 1,250 - 73100 Lecce
Telefono: 0832611877 - email: caponeeditore@libero.it


COMUNICATO STAMPA


Imminente in libreria, Il “primato” del Regno delle Due Sicilie, di José Mottola, con Postfazioni di Alessandro Barbero e Gianfranco Liberati

IL LIBRO
Oltre mezzo secolo fa si affacciarono nella narrativa e pubblicistica del Mezzogiorno i “primati del Regno di Napoli“, dalla prima ferrovia italiana alla prima nave a vapore, passando per il primo ponte sospeso in ferro. Negli ultimi anni la tematica si è ampliata fino ad abbracciare la tesi della prosperità del Sud sotto l’Antico Regime, sostenuta  da diverse voci, per lo più fuori o contro la storiografia tradizionale.
Questo libro indaga sui primati rivendicati,  esaminando aspetti fondamentali del Mezzogiorno prima dell’Unità ­ – dalla politica all’economia, dallo spirito pubblico all’istruzione – e, alla luce del pensiero meridionalista risalente a Francesco Saverio Nitti, mette a fuoco le criticità post-unitarie denunziate in relazione ad emigrazione e brigantaggio sulla falsariga dell’asserito dilemma inflitto alle popolazioni meridionali: “Briganti o emigranti”.
L’autore segnala infine facce attuali della poliedrica questione meridionale, alcune delle quali  presentatesi come parte della soluzione anziché del problema.

L'AUTORE
José Mottola, autore di diversi saggi storici e biografici ancorati alle vicende del Mezzogiorno in età tardo-moderna e contemporanea, ha pubblicato per lo stesso editore Fanti e briganti nel Sud dopo l’Unità (2012).


José Mottola, Il “primato” del Regno delle Due Sicilie, con Postfazioni di Alessandro Barbero e Gianfranco Liberati, pagine 160, € 13,00 - ISBN 978-88-8349-194-1

martedì 23 settembre 2014

PUGLIA BAROCCA / / / Recensione apparsa su "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 27 settembre 2014, a firma di Pasquale Tempesta


CHE SUD FA
UNO STUDIO DI MARIO CAZZATO
Di Pasquale Tempesta

Barocco pugliese
Barocco, un patrimonio da salvare. Non soltanto nel Leccese ma in tutta la regione, dove non mancano esemplari notevoli di costruzioni, civili e religiose, realizzate in questo «trionfale» stile architettonico affermatosi in particolare a partire dal Seicento. A sottolinearlo è Mario Cazzato, autore di un centinaio fra libri, guide e saggi sull’argomento, con il volume Puglia barocca (Capone Editore, pagine 136, € 18,00) che rappresenta una vera e propria rassegna delle costruzioni realizzate, appunto in questo stile da molti ritenuto fin troppo ampolloso e magniloquente, ma che ha un suo particolare fascino.
Ovviamente, nulla e nessuno possono contestare a Lecce un patrimonio ed un primato che sono nei fatti. Tuttavia – come osserva l’autore ­– esemplari notevoli di questo stile architettonico non mancano nell’intera Puglia. Accanto a quelli di Lecce, vanno infatti citati esemplari insigni come la cattedrale di Gallipoli, la chiesa di San Domenico in Nardò, e altri edifici, religiosi e non, a Galatone, a Corigliano. Rimanendo sempre nel Salento, ma spostandosi nelle vicine province di Brindisi e Taranto, occorre soffermarsi su esemplari edifici dei capoluoghi, ed ancora su quelli di Martina Franca, Castellaneta, Francavilla Fontana e via di seguito.
Anche se è opportuno sottolineare il fenomeno di quella che alcuni hanno definito la prima «riscossa antibarocca», caratterizzata da un vero e proprio «ripensamento» intellettuale, culturale e architettonico del puro stile rococò.
Fenomeno questo ancor più accentuato in Terra di Bari e nel Foggiano dove va sviluppandosi la «moda» (si fa per dire) delle guglie barocche in onore dei santi o in ricordo di eventi particolari con splendidi esemplari in tutta la regione. Segnalabili, fra gli altri, quelli di Mola (Palazzo Alberotanza); di Bitonto (un altare nella Chiesa di San Gaetano e la guglia dell’Immacolata); di Monopoli (la cattedrale); di Bari, il Seminario. Per quanto riguarda la Capitanata, si può addirittura parlare del cosiddetto «tardo barocco» in cui all’ispirazione architettonica iniziale si aggiunge uno slancio evolutivo, segno di una renovatio, un cambiamento stilistico epocale ormai non più rinviabile.

lunedì 4 agosto 2014

FERITE APERTE / / / Recensione apparsa su recensionilibri.org a firma di Krauss

Ferite aperte:

le tante cause del divario postunitario del Mezzogiorno


Una guerra tra ultimi, quella tra i comuni certamente poveri ma popolosi e quelli oggettivamente piccoli ma solo presumibilmente poveri. I primi erano quasi tutti nel Mezzogiorno e la miseria la conoscevano davvero. Quelli con meno di mille abitanti caratterizzavano il Nord, specie la Lombardia e la povertà spesso non li toccava più di tanto. In genere, anche i municipi del Centro e del Lazio avevano pochi abitanti, capitale a parte. Quello della guerra tra poveri – parliamo degli ultimi decenni del ’900 – è un nuovo profilo della querelle sempre attuale tra Nord e Mezzogiorno d’Italia.
Un nuovissimo saggio, proposto da una casa editrice salentina, la leccese Capone e da un ricercatore pugliese, Angelo Panarese, già sindaco di Alberobello, in provincia di Bari, ha il merito di fornire una prospettiva inedita tra i suoi svariati approcci alla questione meridionale.
È il divario dei finanziamenti pubblici post unitari che ha allargato il solco, mai più colmato, tra Centro-Settentrione e Sud, aggiungendosi alle cause classiche che pure vengono ampiamente trattate in questo volume: Ferite aperte. Il crollo del Regno delle Due Sicilie, Capone Editore, di Cavallino (Lecce), 176 pagine 13 euro.
Secondo un quadro riassuntivo, solo poche regioni ottennero grandi risorse in quell’Italia che stava diventando un grandissimo cantiere aperto. La spesa media nel quinquennio 1994-98 riconosce alla Lombardia 32,97 lire per abitante, al Piemonte 29,71, al Lazio addirittura 93 e ben 71 alla Liguria. Di contro, Basilicata e Abruzzo Molise non raggiunsero neanche 9 lire per ogni cittadino, Sicilia e Sardegna si fermarono a poco più di 19, Puglia 12,54, Calabria 11,26. In controtendenza la Campania, che sale a 33 lire per residente, più dei fondi ripartiti nell’area padono-veneta. Così le altre: Veneto 21, 90, Toscana 37,56, Emilia Romagna 20,78, Marche 17,59, Umbria 14,81.
Lo Stato italiano assunse funzioni imprenditoriali dirette e sollecitò attività pubbliche come mai in precedenza avevano fatto i tanti governanti preunitari, anche nel Nord austriacante. Due leggi furono fondamentali nell’approfondire il divario, quella del 1876 che appunto aiutava i comuni con una popolazione inferiore a mille abitanti e la “Coppini”, del 1886, che introducendo l’istruzione elementare obbligatoria a carico dei Comuni, stabiliva il concorso dello Stato solo a determinate condizioni. Nell’uno e nell’altro caso, i centri del Nord riuscirono a far interpretare la scarsità di popolazione a loro vantaggio, come indice di bisogno, nonostante i redditi medi più elevati. Quelli del Sud, generalmente molto popolosi ma realmente arretrati, restarono al palo. E non andò meglio nell’edilizia scolastica.
A questi fattori di ritardo endemico e ulteriormente ignorato da leggi che avrebbero voluto correggerlo ma furono efficaci esattamente al contrario, si associarono tantissimi altri, tra i quali Panarese mette in risalto i profili economici, che incisero sul sottosviluppo delle regioni meridionali accanto a quelli sociali e storico-militari del brigantaggio meridionale, ampiamente investigati. Più che nella “piemontesizzazione” forzata del Mezzogiorno, queste cause di ritardo derivano dall’affermazione di una scala di valori capitalistici internazionali che prese a caratterizzare l’economia europea proprio negli ultimi quarant’anni del 1800. Il Nord (la pianura padana, in particolare), recependo l’esigenza di una rapida industrializzazione, si inserì nella mini-globalizzazione che si realizzò in quell’epoca su scala europea. Il Mezzogiorno agrario non entrò invece nello scenario dell’economia continentale e ricevette un colpo di grazia dal protezionismo doganale che avrebbe dovuto tutelare le merci, ma che si rivelò fatalmente controproducente. Provocò da un lato la dipendenza totale dall’esterno per l’acquisto di prodotti industriali sempre più cari e indisponibili in loco, per la mancanza di aziende nel Sud. Dall’altro, l’aumento dei prezzi, conseguente anche all’imposizione di dazi finì per sottrarre mercati e competitività all’agricoltura meridionale. Che non si riprese.
Colpa del Nord? Certo. Governo unitario miope? Non c’è dubbio, ma la classe dirigente meridionale dell’epoca fu miope e ottusa, oltre che gattopardesca, come denunciato da Tomasi di Lampedusa, non certo da un nordista. Avrebbe dovuto fare autocritica e correre ai ripari per tempo, ma non lo fece. Il solco diventò più profondo e l’Europa si fece già allora più lontana.
Industrializzazione mancata, ritardata. Ignorata dagli stessi meridionali. Sarà un caso che a cavallo del ’900 le aziende e le imprese di molte città meridionali avevano ragioni sociali e proprietari stranieri? Cognomi svizzeri, inglesi, austriaci, francesi. Materia da approfondire, se non è stato già fatto.



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lunedì 28 luglio 2014

COMPARE, MI VENDI UNA SCARPA? /// È disponibile “Compare, mi vendi una scarpa? Luoghi, vicende e volti di un cantastorie salentino” di Rocco Boccadamo



Rocco Boccadamo, Compare, mi vendi una scarpa? Luoghi, vicende e volti di un cantastorie salentino, con Prefazione di Maurizio Nocera e Postifazione di Antonio Errico, Capone Editore 2014








Pagine 144, € 10,00





IL LIBRO
Rocco Boccadamo racconta, narra, interviene, mettendo in mostra senza infingimenti la propria nostalgia dei tempi, dei luoghi e delle persone vissuti senza rancore, senza tormento, anzi, al contrario, il suo nostos e il suo algos sono una plateale manifestazione del proprio Sé colmo di stupore e di bellezza, un Sé coscientemente sobrio incuneato in un delicato e fascinoso racconto storico spesso autobiografico. (dalla Prefazione di Maurizio Nocera)

Rocco Boccadamo, narrando, fabbrica cornici dentro le quali personaggi, luoghi, storie, si ritrovano in una tessitura coerente, compatta.
Racconta non per evocare ma per rigenerare. La memoria si fa presenza. L’io che narra si sdoppia e si riguarda, ed è in questo gesto del riguardarsi, in questa condizione del rispecchiamento, che si verifica il ritorno del passato.  (dalla Postfazione di Antonio Errico)


L’AUTORE
Rocco BOCCADAMO,  è nato a Marittima e vive a Lecce.
Già dirigente bancario, dal marzo 2009 è iscritto, come pubblicista, all’Albo nazionale dei giornalisti.
Ha dato alle stampe i volumi Volare in alto (2004), Il geco e la coccinella (2005), Ad una Lei (2006), Luminosa stella (2007), Io sono chi (2008), Il barbiere di Natale (2008), Il cavamonti sognatore (2009), Righe fuori schema (2010), Quell’antico suonatore d’organo (2011), Quando il gallo cantava la mattina (2012) e “Una matinée” al Santalucia (2013).
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lunedì 7 luglio 2014

ALBA MEDEA, GLI AFFRESCHI DELLE CRIPTE EREMITICHE PUGLIESI /// Recensione a firma di Dino Levante apparsa su "La Gazzetta del Mezzogiorno" di Giovedì 3 luglio 2014


LETTURE & LETTURE IL LIBRO PUBBLICATO DA CAPONE QUALE UTILE GUIDA
PER CONOSCERE MEGLIO ARTE E STORIA
Fascinoso viaggio nelle cripte bizantine
della Terra d’Otranto
Un itinerario disegnato dalla studiosa Alba Medea

di Dino Levante

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Libri sotto l’ombrellone, belle letture ma anche guide per conoscere meglio il Salento, come andando per grotte bizantine. La ricercatrice di origine lombarda Alba Medea, dopo il suo studio fondamentale, condotto nel corso del 1934, gli affreschi delle cripte pugliesi non avevano mai trovato un’analisi così estesa ed esauriente. Di ogni grotta l’autrice fornisce una precisa descrizione, indicandone la denominazione, la località, lo stato di proprietà, di custodia e d’uso, la planimetria, l’interpretazione delle pitture murarie e delle iscrizioni ancora visibili; spesso riproduce la pianta iconografica e la relativa bibliografia con l’indicazione della iconografia fotografica (se c’è) e col suggerimento pratico di ciò che possa farsi per la riproduzione degli affreschi e la conservazione dell’insediamento. In alcuni casi la studiosa paragona le scene dipinte e i testi della Sacra Scrittura con corrispondenze tra i testi patristici e l’esegesi medievale, passando poi ad un’analisi stilistica e a datare le pitture con una buona approssimazione.
Il lavoro di Alba Medea, scoperto dall’orientalista e bibliotecario dell’Accademia dei Lincei, il salentino Giuseppe Gabrieli nel 1936, è stato pubblicato nel volume «Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi» (Capone Editore, 270 pagine, 25 euro), con presentazione di Antonio Ventura. Essenziali i contributi per approfondire le ricerche sulla realtà salentina leccese con le cripte di: Borgagne (interrata; San Nicola); Botrugno (Assunta); Carpignano (Sante Marina e Cristina o della Madonna delle Grazie; presso la masseria Tafuro); Casarano (Crocefisso o di Santa Costantina); Castrignano; Galatina; Gallipoli (abbazia di San Mauro; San Salvatore); Giurdignano (San Salvatore; grotte eremitiche). E il viaggio prosegue con Melendugno (San Niceta; San Cristoforo); Minervino; Muro Leccese (Santa Marina; San Salvatore); Nociglia (Madonna degli Idri); Ortelle (Madonna delle Grotte; San Vito e Santa Marina); Otranto (Sant’Angelo; San Nicola); Palmariggi (Monte Vergine); Parabita (Madonna della Cultura; Cirlicì; Sant’Eleuterio; Madonna del Carotto; S. Marina); Patù (La Centopietre); Poggiardo (Santa Maria); Ruffano (Carmine); Sanarica (Santo Lai). Infine, tappe a San Cassiano (Madonna della Consolazione); Sant’Eufemia (Madonna del Gonfalone); Serrano (Madonna di Cirimanna o Celimanna); Surano; Ugento (Crocifisso); Uggiano La Chiesa (Sant’Elena); Vaste (Santi Stefani); Veglie (Favana o Furana).
L’importante iniziativa editoriale mette nuovamente a disposizione, di studiosi e curiosi turisti, uno strumento indispensabile per la conoscenza di un patrimonio artistico tanto interessante, ristampando l’opera di Alba Medea edita nel 1939. Una prima ricerca condotta in maniera organica sui singolari monumenti della Puglia meridionale, ricca di documentazione sulle decorazioni delle absidi, dei pilastri, delle pareti laterali, degli archi e dei soffitti. Simboli di devozione dei fedeli, nostri antichi antenati. E sarà bello ripercorrere quegli itinerari, artistici e religiosi, con lo sguardo rivolto al passato, ma poi non tanto lontano.



martedì 24 giugno 2014

SARDEGNA. L'ISOLA DEI NURAGHI / / / Recensione a firma di Nicola De Paulis apparsa su Nuovo Quotidiano di Puglia di lunedì 25 giugno 214


I segreti del passato
Viaggio in Sardegna con Pierluigi Montalbano
in un libro pubblicato da Capone Editore

NURAGHI,
LASTORIAEISUOIMISTERI

di Nicola De Paulis

Quando in Italia si parla dei tesori della storia non si può non parlare anche dei nuraghi, costruzioni megalitiche che si trovano solo in Sardegna, simbolo arcaico di quella terra. Il nuraghe non ha precedenti, né somiglianze. È alto, possente, costruito con grandi blocchi poligonali, a più piani, con corridoi e coperture a ogiva. In Sardegna ce ne sono circa ottomila, alcuni in stato di conservazione sorprendente, mentre altri sono in stato di assoluto abbandono. Per saperne di più, chi programma una vacanza nell’isola, può far riferimento al nuovamente distribuito volume “Sardegna”, pubblicato dalla casa editrice salentina Capone. A firmare il saggio è Pierluigi Montalbano, studioso di paleostoria che insegna storia antica a Cagliari e che collabora con una equipe internazionale su temi riguardanti la navigazione antica, i relitti sommersi del Bronzo e del Ferro e i commerci fra oriente e occidente mediterraneo.
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Il testo, utile anche per gli studiosi e gli appassionati, va indietro nel tempo e prepara in qualche modo il lettore alla comparsa dei nuraghi sull’isola confrontando le varie espressioni delle civiltà megalitiche del mediterraneo: cretese, micenea, della Corsica, delle Baleari.
Ma entriamo nei dettagli con un paio di eloquenti esempi.
Messo in luce nella prima metà del Novecento e patrimonio Unesco dal 1997, il nuraghe “Su Nuraxi” di Barumini, per esempio (nella provincia del Medio Campidano e quindi nella regione storica della Marmilla), risale al XIV secolo a.C. e presenta un bastione di quattro torri angolari più una centrale, presso il quale si sviluppò, a partire dall’Età del Ferro (X-VI secolo a.C.), un vasto villaggio che ebbe vita fino ad epoca punica (VI- III secolo a.C.) e poi romana. Insieme al nuraghe “Su Mulinu” di Villanovafranca, situato nella stessa zona, databile come origine al XVI secolo a.C., si colloca oggi fra i monumenti nuragici più significativi e importanti della Sardegna.
Il nuraghe “Su Nuraxi” si raggiunge facilmente da Cagliari lungo la strada statale 131. Fu il primo ad essere scavato con criteri scientifici negli anni Cinquanta. In quell’occasione vennero alla luce resti di utensili, armi, vasellame e oggetti ornamentali. Mille anni prima di Cristo, intorno al monumento sorgeva un villaggio di capanne a base circolare con tetti conici in legno e frasche. Tra le capanne si ritrovava quella del capo, più grande ed articolata, e quella per le assemblee, nella quale sono stati ritrovati simboli delle divinità adorate. Altri ambienti fungevano da officine, cucine, e centri di lavorazione di prodotti agricoli.
Il villaggio si sviluppò ulteriormente nell’Età del Ferro (IX secolo a.C.) con un tentativo di organizzazione urbanistica. In seguito, verso il VII secolo a.C. il complesso fu distrutto, abbandonato, ed utilizzato in età punica, romana e bizantina, a scopo insediativo funerario e sacro. In questo, circa la sua funzione, il nuraghe “Su Nuraxi” si caratterizza come un centro fortificato, a presidio di un villaggio-comunità, dell’età del Bronzo, probabilmente pastorale, che rivela già una sua organizzazione civile e religiosa.
Anche il nuraghe “Su Mulinu” di Villanovafranca si raggiunge attraverso la strada statale 131. In base a recenti indagini condotte dalla Soprintendenza per i Beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano, “Su Mulinu” ha dimostrato una continuità abitativa di oltre 2.500 anni, dal Bronzo Medio (XVI secolo a.C. ) fino all’età alto medioevale (XI secolo d.C.).
I nuraghi sardi, sono attualmente all’attenzione di un grande progetto internazionale di valorizzazione del patrimonio storico, archeologico ed artistico denominato “Accessit” che comprende le regioni Liguria, Toscana, Sardegna e Corsica, con l’obbiettivo di creare un Grande Itinerario Tirrenico (Git). 

mercoledì 11 giugno 2014

FERITE APERTE /// È disponibile "Ferite aperte. Il crollo del Regno delle Due Sicilie", di Angelo Panarese


Angelo Panarese
Ferite aperte.
Il crollo del Regno
delle Due Sicilie















Il saggio affronta con un approccio revisionista ed antideologico il tema della “crisi” del Mezzogiorno dal 1858-59 al 1887: dal “crollo” del regime borbonico all’avanzata garibaldina al Sud e alla costruzione dell’Unità d’Italia. Accanto agli aspetti più propriamente politici della storia risorgimentale, nella seconda parte del saggio si analizzano, in maniera particolare, le problematiche della formazione del mercato capitalistico unitario, la nascita della “questione meridionale”, il vivace dibattito sul brigantaggio che si svolge alla Camera dei Deputati, il ruolo, in quell’epoca, del Banco delle Due Sicilie come strumento di sviluppo dell’economia del Mezzogiorno.
È il tentativo di costruire una controstoria realistica dei problemi post-unitari, lontana dalla visione retorica e fuorviante di molta parte della storiografia nazionale, per dare del Sud una rappresentazione più veritiera ed oggettiva.

ANGELOPANARESE, laureato in Lettere e Scienze Politiche, Dottore di ricerca e collaboratore dell’Istituto di filosofia politica dell’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari, è docente di Scuola media superiore. Sindaco della città di Alberobello dal 1994 al 2001, è autore dei seguenti volumi: La devianza minorile: il caso Puglia 1976-86. Economia, Sociologia, Diritto (Bari 1988); Felicità e cittadinanza nella teoria politica di Aristotele (Manduria 1993); Dal riscatto feudale al riconoscimento di Alberobello come patrimonio dell’umanità (Alberobello 2000); Filosofia e Stato (Lecce 2005); I tre Poteri (Bari 2008); Donne, Giacobini e sanfedisti nella rivoluzione napoletana (Bari 2011); Storia del Regno di Napoli. Un confronto con Benedetto Croce (Lecce 2012); Il Mezzogiorno nel Settecento tra riforme e rivoluzione (Bari 2013).

Pagine 176, € 13,00 - ISBN: 978-88-8349-189-4

Lecce, 24/06/2014