lunedì 9 settembre 2013

È disponibile LA PUGLIA, L'ADRIATICO, I TURCHI, di Nino Lavermicocca, Marino Capotorti e Nicola Cortone, con Presentazione di Giorgio Otranto



Brindisi in una mappa turca del XVI sec.
Nino Lavermicocca, Marino Capotorti,Nicola Cortone, La Puglia, l'Adriatico, i Turchi. (Dai Selgiukidi agli Ottomani, 1071-1571), a cura di Nino Lavermicocca, Presentazione di Giorgio Otranto, Capone Editore 2013





Pagine 144, € 15,00
ISBN: 9788883491801



Il libro
Con l’erosione dell’Impero bizantino avviata militarmente a partire dall’XI secolo e proseguita metodicamente fino alla completa occupazione dell’Anatolia e alla distruzione della “grande mela rossa”, la capitale della cristianità orientale, Costantinopoli, i Turchi non furono in grado di elaborare una civiltà e cultura dell’incontro, fondata sui valori dell’Islam e della Ortodossia. All’Europa i Turchi si avvicinarono per circa quattro secoli con la guerra, seguendo nell’itinerario delle conquiste, la direttrice balcanica (fino al II assedio di Vienna 11 settembre 1683) e quella egeo-ionico-adriatica (fino alla battaglia di Lepanto 7 ottobre 1571), guardando alla Puglia come alla frontiera dell’occidente che, pur nella sua disgregazione politica e debolezza militare, seppe comunque opporre un argine (paradossalmente proprio con la caduta di Otranto l’11 agosto 1480) alla ambizione del dominio universalistico della Sublime Porta.


Gli argomenti:
Presentazione, di Giorgio Otranto ° Adriatico, golfo mediterraneo: incontri e scontri di civiltà e culture, di Nino Lavermicocca ° La battaglia di Lepanto, e la fine dell’egemonia turca sul mare. La partecipazione dei pugliesi, di Marino Capotorti ° La paura del “Turco” e la sua rappresentazione: tradizioni popolari, narrazioni letterarie e folklore, di Nicola Cortone





mercoledì 14 agosto 2013

VIAGGIO NEL SALENTO MAGICO / / / Recensione di Salvatore Esposito apparsa su Blogfoolk di agosto 2013



Federico Capone, Viaggio Nel Salento Magico, Capone Editore 2013, pp. 144, Euro 10,00

Secondo volume della collana “La Terra e Le Storie” diretta da Antonio Errico e Maurizio Nocera, “Viaggio Nel Salento Magico” di Federico Capone, offre un peculiare affresco delle tradizioni della Terra D’Otranto, un sapere ancestrale arricchitosi nei secoli dal passaggio di genti e culture differenti e conservatosi, quasi intatto nell’epoca moderna, quando da cuore dei traffici del Mediterraneo si ritrovò ad essere la periferia dell’Italia. Così tra folletti, streghe, fate, orchi, sirene, e tarante, veniamo letteralmente condotti in un viaggio nel tempo alla riscoperta di fatti di vita quotidiana, usi, costumi e superstizioni che compongono l’immenso mosaico della ricca tradizione popolare del Salento. Si ricompone così il racconto di quella “Terra Del Rimorso” descritta magistralmente da Ernesto de Martino, e non è un caso che larga parte del libro sia riservato al fenomeno del tarantismo, analizzato però in modo differente ovvero presentando un florilegio antologico, che raccoglie testimonianze e documenti preziosissimi che spaziano dal II secolo a. C., con le “Metamorfosi” di Nicandro di Colofone in cui si narra della battaglia a passi di danza combattuta fra le ninfe Epimelidi e i giovani pastori messapi, alle suggestive narrazioni di Goffredo di Malaterra, Alberto di Aquisgrana e Girolamo Mercuriale, in cui si scopre come il tarantismo fosse ben noto anche nel medioevo, fino ad arrivare alla fine del XIX secolo con le leggende raccolte da Giuseppe Morosi nella Grecìa Salentina, e con i documenti dei pionieri dell’etnologia salentina ovvero Trifone Nutricati Briganti, Giuseppe Gigli e Sigismondo Castromediano. Completano il testo l’iconologia della Puglia di Cesare Ripa, i diari di viaggio di George Berkeley, Antoine Laurent Castellan e Richard Keppel Craven, per concludere con Girolamo Marciano da Leverano. “Viaggio nel Salento Magico” è dunque un libro prezioso in quanto attraverso i documenti raccolti da Federico Capone ci consente di scoprire dettagli, storie e piccole leggende popolari che spesso sfuggono all’etnografia e all’etnomusicologia ufficiale. 
 
Salvatore Esposito 
 
Link d'origine: Blogfoolk

VIAGGIO NEL SALENTO MAGICO / / / Recensione apparsa su "Presenza taurisanese / Brogliaccio salentino" di Luglio-Agosto 2013


Il Salento magico nella “terra del rimorso”

Ci sono libri la cui fortuna è tale da opacizzare tutto quel che li ha preceduti o seguiti. Uno di questi testi è La terra del rimorso di Ernesto De Martino (1961). Un gran libro, uno studio condotto sul campo con criteri scientifici, non c'è che dire. Ma proprio la conduzione sul campo, in presa diretta del fenomeno o di quel che di esso era rimasto, ha trascurato testi fondamentali sull'argomento. Federico Capone, che da anni coltiva studi di carattere antropologico relativi al Salento, offre con questo suo libro-antologia, Viaggio nel Salento magico (Cavallino, Capone Editore, 2013, pp. 144, Euro 10,00), alcune testimonianze importanti, a partire dai miti poetici classici fino all'Ottocento del Nutricati-Briganti, del Gigli e del Castromediano. Vi si leggono testi tradotti in italiano di Goffredo di Malaterra, Alberto di Aquisgrana, Girolamo Mercuriale; Testimonianze di George Berkeley, Antoine Laurent Castellan, Richard Keppel Craven, Girolamo Marciano da Leverano e Giuseppe Morosi. Testi spesso trascurati da quanti ormai considerano il fenomeno un prodotto commerciale cultural-turistico, che fanno giustamente dire a Capone che tradizione e tradimento sono stati confusi. Simili testimonianze, se per un verso non aggiungono novità all'argomento, per un altro lo liberano dall'esclusività salentina del tarantismo e lo collocano in una dimensione più ampia del più vasto mondo del magico. Questo, infatti, è una categoria che afferisce tutte le latitudini, con delle costanti e delle specificità. Questo libro di Capone ci fa conoscere di più e meglio lo specifico salentino “in viaggio” nel suo straordinario universo del fantastico.

Recensione apparsa su “Presenza taurisanese / Brogliaccio salentino” del Luglio-Agosto 2013 – Anno XXXI – N.257

martedì 6 agosto 2013

VIAGGIO NEL SALENTO MAGICO / / / Recensione di Barbara Moramarco apparsa su brindisireport.it del 4 agosto 2013


Sulle magiche tracce della tarantola: dal mito popolare alla musica emblema del Salento
di Barbara Moramarco » 4 agosto 2013 alle 07:30
Phonurgia Nova sive Congium Mechanico-physicum artis et naturae Paranympha di Athanasius Kircher- 1673
Phonurgia Nova sive Congium Mechanico-physicum artis et naturae Paranympha di Athanasius Kircher- 1673
Tra pochi giorni il Salento tornerà ad essere travolto dall’energia, il ritmo, le “pizziche” della XVI edizione del Festival itinerante “La notte della taranta” che dal 6 al 24 agosto coinvolgerà quindici comuni. La mitica taranta, nome con cui nella tradizione popolare della Puglia è chiamato il comunissimo ragno dei Licosidi, la Lycosa tarantula (ragno dall’aspetto vistoso e dal morso doloroso ma innocuo), per secoli è stata ritenuta la responsabile di quel fenomeno pugliese, e salentino in particolare, noto con il nome di tarantismo.
Secondo le credenze popolari era il morso del ragno a provocare nelle persone colpite, i “tarantati”, un malessere generale interiore con sintomi psichiatrici, guaribile con la musica e la danza dell’ammalato per molti giorni consecutivi, sino allo sfinimento. Quell’antico fenomeno pugliese fu oggetto, nel 1959, di un importante lavoro di ricerca svolto nel Salento dall’etnografo italiano Ernesto De Martino (1908-1965) e incentrato su quei riti, danze e credenze e sulla cura per il morso del famoso ragno.
De venenis et morbis venenosis tractatus di Girolamo Mercuriale - 1588
De venenis et morbis venenosis tractatus di Girolamo Mercuriale – 1588
L’indagine etnografica di De Martino, pubblicata nel 1961 con il titolo “La terra del rimorso” (Il Saggiatore, 1961- pp. 273), provò che quei riti avevano per lo più la funzione di allontanare le inquietudini di una vita colpita dalla povertà e dall’emarginazione. Da allora però poco è stato aggiunto a quegli studi e a confermare il rallentamento subito dalla ricerca etnografica, è lo scrittore Federico Capone che nel suo libro intitolato “Viaggio nel Salento magico” (Capone editore, pp. 140- euro 10,00) così scrive:
“Nonostante i numerosi sforzi e la pervicace (buona) volontà, ben poco si è aggiunto, se non in casi assai rari, a La terra del rimorso; pur tuttavia, non si può negare che il movimento creatosi attorno al tarantismo abbia risvegliato, nel pubblico più ampio, un interesse che stava pian piano scemando verso quelle culture che sono delle classi popolari, provengono da queste e in queste trovano terreno fertile per attecchire, sopravvivere e rinnovarsi spontaneamente, senza forzature. In questo quadro di riscoperta, la ricerca ha subìto un rallentamento notevole, se non addirittura uno stop: ingenti somme di denaro sono state investite per confezionare piccoli e grandi eventi all inclusive, in grado di soddisfare la richiesta di esoticità del turista”.
La copertina del libro Viaggio nel Salento magico
La copertina del libro Viaggio nel Salento magico
“Viaggio nel Salento magico”, ulteriore perla della collana intitolata “La terra e le storie” diretta da Antonio Errico e Maurizio Nocera, curatore della prefazione, è un’antologia formata nella sua prima parte dalle diverse versioni di una leggenda narrata da Nicandro di Colofone (II sec. a. C.) e ambientata in Messapia, in un luogo chiamato dei “sassi sacri” dove si tenne una sfida, a passi di danza, tra le ninfe Epimelidi e alcuni giovani pastori messapi, inconsapevoli di essere in gara con delle divinità. La sfida, vinta dalle ninfe, si concluse con la trasformazione dei giovani pastori in ulivi dalla forma contorta “…ed oggi, si ode, di notte, una mesta voce proveniente dalla selva, quasi a lamentarsi” racconta Nicandro. L’antica leggenda fu ripresa da Ovidio (I sec. a.C.) e tradotta in ottava rima nel 1561 da Giovanni Andrea dell’Anguillara.
Seguono poi gli scritti di alcuni autori che hanno riportato testimonianza del tarantismo nel corso dei secoli. Tra questi Goffredo di Malaterra che nel 1064 descrisse così le tarantole che infestavano un monte vicino a Palermo e che infastidivano i soldati provenienti dalla Puglia al seguito dei Normanni: “…la tarantola è un verme che ha l’aspetto di un ragno, ma ha un aculeo velenoso e di puntura spiacevole”. Alberto di Aquisgrana, canonico della chiesa di Aquisgrana, descrisse invece le tarantole come “serpenti chiamati Tarenta”. Il canonico fu il primo a usare questo termine nella città fenicia di Sidone (nell’odierno Libano) e a descrivere i sintomi che i pellegrini cristiani colpiti dal ragno manifestavano “…morirono per l’agitazione e per una sete insopportabile, poiché le loro membra erano tumide per inauditi rigonfiamenti”.
Una tarantolata
Una tarantolata
Alberto di Aquisgrana descrisse anche i rimedi che gli abitanti di Sidone insegnarono ai Cristiani per guarire dal morso del ragno “…toccata e circoscritta la ferita di quel pungiglione con la mano destra, sembrava che quel veleno non potesse più nuocere” e il sistema per allontanarlo battendo delle pietre sugli scudi. “Chiaro il riferimento a quello che si è verificato nei secoli successivi, dell’importanza cioè del tamburello come strumento basilare della iatromusica” scrive Maurizio Nocera.
Girolamo Mercuriale, medico e filosofo, descrisse invece così i sintomi del tarantismo “…quando morde uno, quello è solito rimanere sempre nello stato e nel modo di fare in cui è stato punto finché il veleno non è stato espulso dal corpo”. E sul rimedio più noto, quello della musica, Mercuriale riporta ciò che aveva sentito dire da coloro che si erano recati in Puglia “…Tuttavia, per il resto affermano che contro il morso della tarantola può fare molto la musica, ma i rimedi per questo veleno sono da ricercarsi dagli abitanti della Puglia”.
Una delle raffigurazioni della Puglia nell'opera Iconologia di Cesare Ripa del 1593
Una delle raffigurazioni della Puglia nell’opera Iconologia di Cesare Ripa del 1593
A corredo dei preziosi testi che formano la prima parte del libro (e di cui l’autore ha riportato i testi latini originali), le belle ed antiche raffigurazioni simboliche della Puglia di Cesare Ripa, tratte dalla sua opera Iconologia del 1593. L’Apulia di Ripa è una “Donna di carnagione adusta che, vestita d’un velo sottile, abbia, sopra d’esso, alcune tarantole, simili a’ ragni grossi rigati di diversi colori, starà detta figura in atto di ballare, avrà in capo una bella ghirlanda di olivo, con il suo frutto e, con la mano destra, terrà con bella grazia un mazzo di spighe di grano e un ramo di mandorlo con foglie e frutto, avrà da una parte una cicogna, con un serpe in bocca, e dall’altra diversi strumenti musicali e, in particolare, un tamburello e un piffero”.
La seconda parte del libro di Federico Capone si apre con le testimonianze estratte dai diari di alcuni viaggiatori stranieri che dai primi del Settecento alla fine dell’Ottocento giunsero nella nostra regione. Leggendo questa selezione si scoprono notizie interessanti come quella riferita da George Berkeley nel 1717 secondo il quale il male si contrae “…mangiando frutta morsa dalla tarantola” o da Antoine Laurent Castellan che nel 1819 scriveva che la malattia “…rende un gran torto, soprattutto alle ragazze, per la loro sistemazione; inoltre il rimedio della musica è molto costoso, poiché si paga almeno un ducato al giorno ai suonatori, senza contare il medico, e poiché il malato balla da quattro a sette giorni di seguito”.
Il mito del tarantismo
Il mito del tarantismo
E ancora quella di Richard Keppel Craven che nel 1821 scriveva “gli abitanti di Brindisi appaiono molto più legati all’antica credenza rispetto a quelli di Taranto… I brindisini ritengono che il morso non manifesta i suoi effetti immediatamente, ma che questi si rivelano nei malati in forma di stupore, di languore, di debolezze e di malinconia, rendendoli inabili a svolgere le loro abituali occupazioni”. Girolamo Marciano da Leverano chiude questa selezione sul tarantismo con importanti riferimenti bibliografici. La terza parte del libro racchiude invece cinque leggende di alcuni paesi della Grecìa Salentina raccolte dal dialettologo Giuseppe Morosi. Le leggende in questione riguardano Martano, Castrignano e Sternatia. Il libro termina con alcuni racconti tratti dagli scritti di Trifone Nutricati Briganti, Giuseppe Gigli e Sigismondo Castromediano sulle fate, i folletti, gli orchi, le streghe, le sirene, gli spiriti della casa, i fatti di vita quotidiana e le superstizioni.


sabato 20 luglio 2013

VIAGGIO NEL SALENTO MAGICO / / / Recensione di Nicola de Paulis apparsa su Nuovo Quotidiano di Puglia di venerdì 17 luglio 2013

Un libro per l’estate Federico Capone racconta miti e vicende della terra della taranta. Un immaginario fatto anche da fate, streghe e orchi

La storia secolare del Salento magico
di Nicola De Paulis
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Chi oggi percorre la vecchia strada coperta da ulivi plurisecolari che nel Salento sud orientale da Giuggianello porta verso Palmariggi, è autorizzato a immergersi nel mito e immaginare che quegli ulivi maestosi fossero, un tempo, fanciulli messapi irrequieti e boriosi “mutati” in olivastri selvaggi dalle ninfe Epimelidi, legate a Dioniso, per averle derise e sfidate in una impari lotta a passi di danza.
Tutto nasce, meglio spiegarlo, da Nicandro di Colofone, autore greco della seconda metà del II secolo a C., che nella terra dei Messapi, presso un luogo chiamato “sassi sacri” (forse il Furticiddhu de la Vecchia – caratteristico masso a forma di fuso su cui esiste anche una leggenda che narra la battaglia fra Eracle e i Giganti ­– oppure uno dei tanti menhir del Salento), apparvero le ninfe Epimelidi che “guidavano le danze”. I fanciulli, abbandonando le greggi, si dissero capaci di far meglio. Ma le ninfe non gradirono l’affronto. La sfida ci fu, e i giovinetti, che avevano una maniera di ballare semplice e rozza, furono sconfitti. E le ninfe allora li punirono trasformandoli in alberi… Oggi il fruscio del vento sembra quasi una mesta voce proveniente dalla selva.
Questa leggenda, riportata anche da Ovidio, grande cantore del mondo classico, apre l’agile e dettagliato “Viaggio nel Salento magico – La terra e le storie”, un saggio divulgativo di Federico Capone (Capone Editore) con prefazione di Maurizio Nocera, un libro che racconta di folletti, streghe, fate, orchi e sirene, ma anche del venefico morso della tarantola, di fatti di vita quotidiana, di costumi e di superstizioni, con fiabe e filastrocche.
Il contenuto del libro conferma quanto la danza sia costante nella storia salentina. Nel capitolo “Il tarantismo”, Capone riporta passi di scrittori e studiosi di varie epoche, dal Medioevo in poi, come Goffredo di Malaterra (1100 circa) che fu il primo a citare il termine “tarantola”, o Girolamo Marciano di Leverano (1571-1628), o ancora Antoine Laurent Castellan (1772-1838) e Richard Craven, spesso citati da chi si occupa della materia, ma quasi mai letti nella loro versione originale, e soprattutto poco noti al grosso pubblico. Sono questi studiosi a documentare come il tarantismo (diffuso in tutto il Mediterraneo ed in Puglia in particolare) già dal ‘600, fosse elemento ben presente nella vita delle popolazioni rurali, tanto che viene da chiedersi: perché la Puglia? Perché il Salento? È davvero questa la “terra del rimorso” o il “serbatoio” isolato per millenni, che ha conservato riti dionisiaci arcaici?
Quando Ernesto De Martino condusse nel 1959 l’inchiesta (in particolare a Galatina) da cui scaturì il libro “La terra del rimorso”, rifiutò di collegare il tarantismo alle tradizioni classiche del dionisismo e del coribantismo, attribuendo al tarantismo musicale una origine medievale. Nel dibattito attuale sul tarantismo, si considera invece che le origini siano ben più antiche.
Tra le prove di questa tesi, le figure su un vaso appulo-lucano del III secolo a. C. che richiamano movimenti simili a quelli della pizzica salentina: una menade o baccante che, mentre batte un tamburello, danza con un satiro.
Ma da considerare ai fini di questo discorso, come riporta Capone, ci sono per esempio le leggende raccolte da Giuseppe Morosi nella Grecìa Salentina, le credenze e gli usi e le superstizioni narrate da Trifone Nutricati Briganti, Giuseppe Gigli e anche da Sigismondo Castromediano.
È proprio il duca Castromediano, per esempio, a raccontare la leggenda della fata di Cavallino, che abitava nei ruderi di un mulino, con tanto di testimoni. “I nostri avi – scriveva – credevano alle fate. Il nostro secolo non crede in nulla”.

venerdì 19 luglio 2013

I MORIBONDI DEL PALAZZO CARIGNANO / / / Recensione a firma di Luigi Montonato apparsa su "Il Galatino" di venerdì 12 luglio 2013


I moribondi del Palazzo Carignano

Torino, il primo Parlamento dell’Italia unita

In una riedizione dell’Editore Capone, a cura di Enzo Di Brango

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Se le aule parlamentari italiane invece di essere a semicerchio, alla francese, fossero state rettangolari, all’inglese, gli esiti della politica italiana sarebbero stati diversi? E soprattutto, si sarebbe mai verificato quel tratto tutto italiano del consociativismo, che ha dato vita in più di centocinquant’anni di storia a governi che vanno dal Connubio Cavour-Rattazzi alle Larghe intese di Letta-Alfano?
Il problema della forma dell’aula parlamentare si pose fin dall’inizio, sia pure come apparente stravaganza, quando il conte Gianni Battista Michelini, deputato dal 1848, in sede di discussione del trasferimento della capitale da Firenze a Roma, il 23 dicembre 1870, chiese che passasse all’ordine del giorno un documento in cui chiedeva che l’aula destinata alle adunanze della Camera a Roma fosse “quadrilunga”. E siccome tutti si misero a ridere, ad incominciare dai suoi, sbottò: “Eh no, signori deputati! La quistione è eminentemente politica…soprattutto visti i felici effetti in Inghilterra”. In quel paese l’aula dove si riunisce la Camera dei Comuni, infatti, è rettangolare, il che favorisce una netta distinzione tra destra e sinistra. Secondo Michelini la circolarità produce confusione, la rettangolarità invece favorisce la chiarezza degli schieramenti. Bah, che avesse ragione a chiedere chiarezza e coerenza nessun dubbio, che però la forma dell’aula potesse evitare il nomadismo dei parlamentari ne passa. Ad ogni modo fu scelta la circolarità, che perfino dal punto di vista semantico è affine al nomadismo parlamentare.
A questi pensieri ci conduce un interessante libro di Ferdinando Petruccelli della Gattina, I moribondi del palazzo Carignano, pubblicato nel 1862, ed ora con felice intuizione riedito dall’Editore Capone di Cavallino, nella collana diretta da Valentino Romano “Carte scoperte. Storie e controstorie”, a cura di Enzo Di Brango e prefato dallo stesso Romano (pp. 136, € 12,00).
L’autore, di Moliterno in provincia di Potenza (1815-1890), fu scrittore e uomo politico di sinistra, partecipò ai moti del ’48, fu esule a Parigi, dove combatté sulle barricate durante il colpo di stato bonapartista; rientrò in Italia e fu deputato (1861-65, 1874-82). Autore di numerosi saggi politici.
Questo, di cui parliamo, è il più famoso, benché a tratti abbia carattere panflettistico. Fa l’elogio di Cavour, di cui coglie aspetti che, espressi all’indomani della sua morte, hanno un valore critico importante: “Egli non parla per la Camera, ma per l’Europa. […] Il diplomatico è un gigante; l’amministratore, mediocre; l’uomo, un antitesi” (p. 53). Di Crispi dice che “ha l’attitudine la più aggressiva nella Camera – quando s’indigna e rompe la monotonia. Allorquando egli s’alza per parlare, si direbbe che sia per tirar fuori di tasca un paio di revolvers” (p. 44).
Del Parlamento dice: “Non si dirà giammai che il nostro è un Parlamento democratico! Vi è di tutto – il popolo eccetto” (pp. 39-40). Della destra dice che “non ha tinte ben recise; se nonché seggono su i suoi banchi parecchi pretendenti, parecchi rivali più o meno mascherati del conte di Cavour” (p. 40). “Il centro è le radeau de la Méduse. Là sonosi raggruppati tutti i naufraghi, tutti i frantumi, épaves, del partito del conte di Cavour…il partito delle pretensioni impotenti, degli ambiziosi fulminati – Icari di cartone imbrattato” (p. 41). Ovvio che in questo “albergo degli invalidi del Presidente del Consiglio” includesse Liborio Romano, Giuseppe Pisanelli e Carlo Poerio, definito quest’ultimo “capo putativo del quartier generale dei deputati napoletani…ma che non ha capo. Pulvis et umbra!” (p. 41). La sinistra per lui, uomo di sinistra, “è la sede degli uomini di Stato in isbozzo, per il momento” (pp. 41-42); mentre “L’estrema sinistra componesi di individui isolati, i quali hanno quasi  tutti un passato, un nome, una personalità morale, netta, recisa. Tutti questi elementi non s’accordano tra loro” (p. 42).   
Ben si sarebbe inserito questo libro in atmosfere celebrative dei centocinquanta anni dell’Unità d’Italia. Ma circostanza a parte, il libro ha una sua autonoma validità, perché offre uno spaccato dell’Italia politica relativo al primo parlamento dell’Italia unita, VIII legislatura in successione sarda, con flash interessanti su uomini e formazioni politiche.
Interessanti per noi salentini i giudizi su Liborio Romano, Giuseppe Romano, Giuseppe Massari e Giuseppe Pisanelli. Del tutto assente Sigismondo Castromediano, non si sa se per un riguardo o per summa iniuria.
Di Liborio Romano dice: “Io non so ciò che vuole Liborio Romano, chi è desso, ove tende, s’egli vezzeggi l’unità italiana o l’autonomia napoletana” (p. 119). Va meglio per il fratello Giuseppe Romano, di cui dice “ardente di ben fare” (p. 111). Di Giuseppe Massari “E’ l’uomo lo più calunniato tra i mestatori della politica governativa, ma in verità egli è cento volte migliore della sua rinomanza – e, comparato ad altri della consorteria, un modello” (p. 74). Con Giuseppe Pisanelli è tranciante: “Pisanelli passava per uomo istrutto; per parlatore enfatico sì, ma facile, colorito ed elegante; per carattere sostenuto, per disinteressato ed alla cosa pubblica atto, e delle cose politiche intelligente. Messo a prova, il disinganno fu completo” (p. 126).
L’interesse per questo libro nasce nel momento in cui ieri come oggi la classe politica italiana presenta gli stessi caratteri. Il curatore Di Brango osserva che “se spogliamo i deputati di allora dai centocinquanta e passa anni di retorica unitaria, in fondo in fondo, i parallelismi sono possibili…evidenti. I vizi, gli intrighi, le furbizie che caratterizzarono l’ultimo periodo di vita del parlamento sardo furono mutuati e consolidati nei parlamenti unitari, “migliorati” e “affinati” con perizia volpina tutta italiana”. (p. 17) Come non pensare ai parlamentari del Pd di meno di due mesi fa in sede di votazione del Presidente della Repubblica, leggendo questo passo del Petruccelli: “Vi sono parecchi deputati che seggono alla sinistra e votano costantemente con la destra, altri che, anche sedendo alla destra, votano talvolta con la sinistra”? (p. 40).
Un libro, questo, forse eccessivamente duro, con qualche giudizio affrettato e dettato da avversioni temporali, col gusto anche della battuta, ma che apre di sicuro un affaccio importante su una realtà storica dimenticata.

Gigi Montonato

“Il galatino” – 13 giugno 2013  

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mercoledì 10 luglio 2013

TEMPLI E FORTIFICAZIONI IN GRECIA E MAGNA GRECIA / / / Presentazione del volume venerdì 12 luglio, ad Athikia (Corinto, Grecia)


Templi e fortificazioni
“approda” in Grecia
 
Sarà presentato venerdì 12 luglio, ad Athikia, frazione di Corinto, il volume Templi e fortificazioni in Grecia e Magna Grecia di Lorenzo Capone, edito dalla omonima casa editrice.
L’iniziativa e l’organizzazione della manifestazione è del Centro di Cultura “Eleni Didascalu” di Athikia al quale sono legate le più significative eventi che si svolgono durante l’estate nella provincia di Corinto.
Con Maurizio Nocera, presenteranno il volume Cristos Tartaris, dottore dell’Università di Salonicco e membro dell’Accademia delle Scienze di New York, e Caterina Costojanni, filologa, preside del Liceo di Vracati, in provincia di Corinto, particolarmente interessata a tutto ciò che si pubblica sulla Grecia antica.
Nel corso della serata saranno letti in greco passaggi significativi dell’opera di Lorenzo Capone da alcuni alunni delle scuole superiori locali.
Templi e fortificazioni in Grecia e Magna Grecia affronta in maniera immediata, senza il linguaggio specialistico tipico degli accademici, il tema della fondazione dei templi e della loro suggestiva architettura che, nata in Grecia, assume poi nell’Italia meridionale forme più raffinate e grandiose.
La parte legata alle fortificazioni è anch’essa di grande interesse per il rapporto che vi è tra la imponente mole delle mura micenee e quella d’Italia centrale in particolare: si pensi alle fortificazioni di Alatri, a quelle di Ferentino, per non dire di quelle di Norba e Segni.


Lecce, mercoledì 10 luglio 2013