giovedì 28 febbraio 2013

Orazio Ferrara, "Il saio e la spada. Ordini cavallereschi e ospitalieri medievali" sarà disponibile dal 18 marzo 2013


In copertina disegno
di Bruno Pagliarulo
Orazio Ferrara, Il saio e la spada. Ordini cavallereschi e ospitalieri medievali, Capone Editore 2013











Pagine 128, € 10,00, ISBN: 978-88-8349-171-9



Il Libro
Ci fu un tempo durante il quale il saio e la spada dei monaci-guerrieri rappresentarono l’estrema difesa della Cristianità nelle contrade della Terrasanta e in quelle ai confini dell’Europa. Formidabili e temibili combattenti in nome della Croce.
Dei Templari, dei Giovanniti, dei Teutonici tutti ormai ne conoscono a grandi linee le vicende, ma vi erano anche altri cavalieri che non furono da meno nel coraggio e nel sacrificio. Di quest’ultimi tratta il libro nel tentativo, non celato, di trarli dall’oblio.
Si spazia dai cavalieri dal bianco mantello dell’Ordine di Santa Caterina, posti a sempiterna scorta delle piste sinaitiche, ai monaci-guerrieri dell’Ordine del Fuoco Sacro o di Sant’Antonio Abate, la cui veste nera è caricata da una croce tatuata di colore azzurro sul lato sinistro; alla storia millenaria di una commanderia di quest’ultimi in una comunità dell’Italia meridionale; al Tau combattente degli uomini d’arme della Confrérie de Monseigneur Saint Antoine de Bar- befosse.
Dall’Ordine dei Monaci Bianchi e delle loro fondazioni ospitaliere nel nome di una delle “sette Madonne napolitane”, la Materdomini, ai cavalieri di San Giacomo della Spada, che si battono e muoiono alla grande per la salvezza dell’anima loro e a maggior gloria del loro Celeste Patrono. Dalla fascinosa Nobile Compagnia del Nodo d’Amore, i cui cavalieri possono riannodare il nodo soltanto visitando, da umili pellegrini, il Santo Sepolcro, ai cavalieri dell’Ordine degli Argonauti di San Nicola con insegna una navicella nel mare in burrasca, a significare la fortitudo della loro fede di milites cristiani in mezzo al mare tempestoso dei destini umani.
Il libro tratta anche diffusamente delle misteriche origini dei Cavalieri del Tempio e soprattutto del loro fondatore, Ugone dei Pagano, di cui si rivendica puntigliosamente e orgogliosamente la nazionalità italiana. Ampio capitolo poi sulla marineria al tempo dei Templari, di cui quella di Puglia, con i suoi strategici porti d’imbarco verso la Terrasanta e con le sue consuetudini e ordinamenti marittimi anteriori a quelli delle Tavole amalfitane, ne rappresenta la punta di diamante per tutto il tempo medievale.

L’Autore
Orazio Ferrara (1948), nato a Pantelleria (Tp), vive in provincia di Salerno. Già responsabile della Biblioteca Co- munale della Città di Sarno, scrittore e saggista, ha pubblicato con l’editore Capone Sud. Storie di lazzari, sanfedisti, briganti e separatisti (2010), La navigazione nel mondo antico (dai Cretesi agli Etruschi) (2011), Addio Sud. O briganti o emigranti (2012).
Numerosi i volumi pubblicati con altri editori. Tra i più recenti ricordiamo Fronte dell’Est. Gli italiani in Russia (2012), Italiani nelle guerre d’Africa (2012), La marineria dell’isola di Pantelleria in epoca moderna (2012), Gli assi dei sommergibili nella Seconda guerra mondiale (2012), Pelle di marinai (2013). Ha curato il volume di Giuseppe Ferrara Memorie di un 2° Capo della Regia Marina, con il saggio aggiuntivo “La resa di Pantelleria. Storia di un enigma” (2011).
È redattore dei periodici locali “La Voce ed Eventi”, collabora a diverse riviste a diffusione nazionale, tra cui “L’Al- fiere”, “Due Sicilie”, “Agorà”, “Storia in Rete”, “La Grande Guerra”, “Storia del Novecento”, “Eserciti nella Storia”, “Aerei nella Storia”, “Santini & Similia”, “Cronache Medievali”. Numerosi siti internet di storia pubblicano suoi con- tributi. Fondatore del Centro Studi di Storia, Archeologia e Araldica I Diòscuri.

martedì 26 febbraio 2013

FIABE E LEGGENDE DI PUGLIA /// Recensione di Paola Bisconti su salentoinlinea.com del 22/02/2013

Fiabe e Leggende di Puglia

Quando si parla o si scrive di Antonio Errico è inevitabile l’uso di superlativi perché lo stile eccellente del preside-scrittore che già in altri articoli avevo definito come l’erede degli intellettuali salentini del ‘900  che tanto lustro hanno dato alla nostra terra, si riconferma nella meravigliosa raccolta di storie intitolata “Fiabe e Leggende di Puglia”. L’apprezzatissimo autore torna dopo poco più di un anno di distanza dall’ultima pubblicazione “L’esiliato dei pazzi” con un testo che esprime non solo l’amore per il sud, ma anche l’orgoglio di un’antichissima tradizione orale tramutata in 32 racconti scritti in 128 pagine e pubblicati da Capone Editore, da sempre legato alla storia del Mezzogiorno e all’area mediterranea. Il libro disponibile dal 19 febbraio, inaugura la nuova collana “La terra e la storia” diretta da Antonio Errico e Maurizio Nocera, scrittore, poeta, giornalista, professore. I testi scritti dall’autore sono tutti originali, ispirati ad un passato intriso di mito, leggenda, fantasia e realtà; sono racconti che tanto hanno fatto sognare i bambini delle passate generazioni anche se ciascuno di noi, qualunque sia l’età, conserva dentro di sé il ricordo del piacere e dello stupore che si prova nell’ascolto di una fiaba dove i re, le principesse, i folletti e i maghi animano le trame di storie come “I lestrigoni a Santa Cesarea” oppure “Tumulo e Kalimera” e ancora “San Giuseppe e il cappello” infine “Il tradimento del frate di Otranto”. Ogni narrazione è legata ad un luogo, gli amati luoghi dell’anima che Antonio Errico ha sempre saputo descrivere egregiamente offrendo attraverso l’abile impiego delle parole una sorta di concretezza alle immagini dei paesaggi salentini e ai suoni della natura di una terra che parla a chi come l’autore sa ascoltare.

di Paola Bisconti



Link d'origine:  Fiabe e Leggende di Puglia

Link utili: 
Antonio Errico, "Fiabe e Leggende di Puglia"

FIABE E LEGGENDE DI PUGLIA /// Recensione di Angelo Sconosciuto apparsa su "La Gazzetta del Mezzogiorno" di lunedì 18/02/2013

FIABE E LEGGENDE DI PUGLIA /// "La rupe della dannata" su Nuovo Quotidiano di Puglia del 19/02/2013

FIABE E LEGGENDE DI PUGLIA /// Recensione di Dino Levante apparsa su "La Gazzetta del Mezzogiorno" di martedì 19 febbraio 2013

giovedì 21 febbraio 2013

FIABE E LEGGENDE DI PUGLIA /// Recensione di Dino Levante apparsa su "La Gazzetta del Mezzogiorno" di martedì 19 febbraio 2013


CAPONE EDITORE
UN TUFFO NEL PASSATO FRA LUOGHI, PERSONAGGI E TESORI
CHE NON È SOLTANTO NOSTALGIA


Un mondo
di streghe
e pozioni magiche
nelle fiabe
di Puglia
Storie care all’infanzia rilette
da Antonio Errico


di DINO LEVANTE





C’era una volta... e c’è ancora. Parliamo del piacere di leggere le favole, i racconti, quelle belle (e anche paurose) occasioni di dialogo tra genitore e figlio, da nonno o zio e nipote, molto spesso usate specialmente per conciliare il sonno, una volta a letto. C’è ancora chi ricorda le calme sere d’estate quando, per le vie dei nostri paesi assolati per tutta la lunga mattinata, a sera, dopo vespro, con un po’ di fresco ci si riuniva intorno ad un anziano che rimembrava, a memoria, senza leggere (perché quasi certamente analfabeta), fatti così strani e lontani da catturare la fantasia dei più giovani ascoltatori. Era una opportunità per tenere buoni anche i bambini più vivaci, sotto il felice e sempre vigile sguardo della mamma.
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Da oggi è disponibile, nelle librerie italiane, il bel volume di Antonio Errico Fiabe e leggende di Puglia (Capone Editore, 128 pagine, 10,00 euro), primo testo della nuova collana a cura dello stesso autore e di Maurizio Nocera dal titolo «La terra e le storie ». In tutto sono trentadue brevi novelle, tutte più o meno ambientate nelle contrade pugliesi.
Errico, noto e apprezzato scrittore, del quale su queste colonne ci siamo occupati per ultimo del suo bel romanzo L’esiliato dei Pazzi (Manni Editori, 2012), dopo aver letto diverse raccolte simili precedenti, non ha frenato l’impulso «del dover scrivere dopo aver letto».
In realtà, in quest’antologia di Errico, dirigente scolastico in un liceo salentino, ha raccolto e rivisitato vari scritti d’ambito nazionale e meridionale. Si nota come la preoccupazione della chiarezza nel descrivere situazioni, alcune volte anche complesse, sia uno dei due binari della struttura letteraria dell’autore. La semplicità e la bellezza viaggiano insieme in un crescendo d’interesse che dal libro si sprigiona nell’aria, come se tutto fosse stato scritto per essere letto ad alta voce, perché dal lettore giungesse all’a s c o l t at o re.
Nelle favole tramandateci Errico «ci ha messo mani», così si faceva fino a qualche decennio fa, quando ognuno aggiungeva del proprio, a partire dalla storia di Omero e della sua Odissea. Amore, fate, luna, streghe, sirene, diavoli, eppoi, il monaco furbo, i luoghi, gli odori, i sapori, tesori, è un susseguirsi di emozioni e di sensazioni che fanno scivolare la memoria sull’agile pendio dei ricordi dell’infanzia. Ed Errico questo fa con successo: riportare nel singolo lettore quei piaceri del ritorno al mito. La ricerca di ciò che siamo stati passa, con questo libro, dalla storia alla leggenda, dalle testimonianze alle immaginazioni. Uno sforzo proteso verso quel racconto che è in noi, sopito, ancora da scrivere e da ritrovare, fra le pieghe della spensieratezza.


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mercoledì 20 febbraio 2013

FIABE E LEGGENDE DI PUGLIA /// "La rupe della dannata" su Nuovo Quotidiano di Puglia del 19/02/2013

La raccolta di Antonio Errico

Da oggi nelle librerie il volume che riscopre i testi tramandati dalla tradizione pugliese

Fiabe e Leggende di passioni e santi



La rupe della dannata
Il giorno delle nozze già s’approssimava, e marzo si volgeva ormai alla fine.
Non s’era neanche fatto l’imbrunire che all’arco grande della masseria si avvicinarono uomini a cavallo.
Due erano, con la lama al fianco.
Il massaro si fece avanti e disse: – Che vulite.
Uno dei due voltò lo sguardo verso le stalle, poi verso il granaio, poi ancora alle stalle.
Voltò uno sguardo torvo, minacciante.
L’altro carezzava la criniera del cavallo e guardava il massaro come a sfida.
Quello che carezzava la criniera del cavallo parlò.
Disse: – A giorni vostra figlia si marita.
– Con la benedizione di Maria – rispose il massaro.
– E del signore Gian Girolamo Acquaviva – disse lo sgherro.
Allora il massaro ebbe la dimostrazione di quello che aveva prestamente intuito.
Poi parlò l’altro continuando a guardare le stalle e il granaio e le stalle: – La sera che vostra figlia si marita, quando si sarà fatto tutto scuro, qui verrà una carrozza con gli sfarzi e la porterà al palazzo di Nardò, che il conte vuole tributare il giusto omaggio che spetta alla bellezza della sposa.
Il massaro impallidì.
Tese la mano verso i due uomini per dire di aspettare, per chiedere parola.
Uno tirò le redini al cavallo e gridò: – ahhh.
L’altro tirò le redini al cavallo e gridò: – ahhh.
Sparirono al bivio del sentiero.
Quando il massaro arrivò vicino al pozzo, la moglie lo guardò, e abbassò gli occhi.
Lui abbassò gli occhi.
Ognuno conosceva la costumanza infame che aveva Gian Girolamo Acquaviva, conte di Conversano e signore di Nardò, la cui crudeltà poteva pareggiare solo con la bruttezza della sua figura.
Piccolo, magro, con un occhio infossato, veniva detto il Guercio da chiunque, da chi gli voleva male e da chi gli voleva bene.
Più volte aveva dato prova della sua ferocia.
Più volte di non avere timore neppure di Dio.
Il mattino dopo, la ragazza tesseva al telaio.
La madre arrivò alle sue spalle e cominciò ad accarezzarle i capelli lunghi, neri.
La ragazza avvertì un tremore della mano.
Si voltò.
Si accorse che la madre tratteneva il pianto.
– Non siete felice, madre? – domandò.
La donna non rispose.
Allora la ragazza chiese un’altra volta: – Non siete felice? Dite, che cosa vi turba il cuore, madre, dite.
La donna cominciò a singhiozzare.
Stringeva la figlia al petto e singhiozzava.
Quando il singhiozzo si fu placato appena, prese le mani della ragazza fra le sue e cominciò a parlare.
– Ti rammenti dei due uomini che vennero qui ieri?
– Certo, ricordo – rispose la ragazza. – I due uomini che vennero a cavallo. Mi ricordo.
Senza sospettare di avere dentro sè tanto coraggio, la donna allora disse: – Venivano a portare l’ambasciata del conte Gian Girolamo Acquaviva.
– Che ambasciata – chiese la ragazza.
– Che il Guercio vuole la tua prima notte.
Tra le due donne si spalancò un silenzio nero.
Aveva sentito, la ragazza, quella storia del conte, però aveva pensato fosse diceria, ciarla maligna, mormorazione fatua.
Ora aveva gli occhi affondati dentro il nulla.
Sentiva un dolore al petto, nelle viscere un tremore.
Avrebbe voluto piangere e non riusciva.
Avrebbe voluto chiedere e non sapeva che cosa chiedere.
Aiuto, forse. A chi.
Certo non poteva al suo promesso sposo, perché lo avrebbe spinto all’omicidio, perché avrebbe distrutto la sua vita.
Aiuto a chi.
Mai nessun giorno era stato così lungo. Mai così straziante, maledetto.
Si fece sera. Poi fu notte fonda.
Mise l’acqua nella tinozza e si lavò.
Poi si pettinò a lungo e lentamente.
Indossò il vestito di sposa ricamato.
Si passò le mani sui seni, lungo i fianchi.
Sul collo spalmò una fragranza di geranio.
Al petto si appuntò la spilla d’oro.
Uscì.
C’era la luna alta e un vento lieve.
C’era odore di mare e rosmarino.
Cento volte e cento aveva fatto quel tratturo.
Sentì la mano forte di suo padre quando da bambina la portava fino all’orlo del dirupo, e lei stringeva la mano del padre e guardava giù. Senza paura.
Guardava giù e non aveva paura.
I ricordi erano come nuvolaglie. Si radunavano tutti nel pensiero.
Ricordò il primo bacio d’uomo.
La prima volta dell’amore.
Ricordò le storie della madre prima di dormire.
Ricordò i canti lunghi delle serenate.
C’era un vento lieve e luna alta, lontana, bianca, nitida, lucente.
Camminò piano. Assaporava l’aria.
Giunse alla torre di Santa Maria dell’Alto.
Sentì il vocio dei cavallari ubriachi.
Si spinse fino all’argine.
Il vento ondeggiò la sua veste bianca.
Guardò lontano e vide l’infinito.
Non era cielo e mare. Era l’infinito.
Si voltò alla direzione dov’era la sua casa.
Ma non pensò. Non volle pensare.
Si voltò di nuovo verso l’infinito.
Si inginocchiò al limitare dell’abisso.
Si fece il segno della croce e cominciò a pregare.
Madre del Cielo, Madonna della luce
eccomi ai tuoi piedi, qui, prostrata
Vergine Maria che conosci ogni mistero
abbi pietà di quest’anima dannata.
Io muoio per amore e per fede a un uomo
Tu salvami dall’inferno Madre Santa
Tu dammi pace lì dov’è l’Eterno
Non lasciarmi morire sconsolata.
Giglio d’amore, madre del Signore
Porta del Cielo, potente imperatrice
ascolta la mia preghiera, ti scongiuro
avvolgi nel tuo mantello il mio dolore.
Così pregò.
Poi si lasciò cadere e la sua veste bianca per un istante sembrò la scia di una cometa.
Una nuvola smorzò la luce della luna.
Il mare ebbe come uno spasimo rabbioso.
Il vento si gonfiò in un delirio.
Si dice che in certe notti di luna piena, ai piedi della Torre dell’Alto, a Santa Caterina di Nardò, ancora si veda una donna vestita da sposa, che prega sullo sperone di roccia a strapiombo sul mare.
Si dice. 


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martedì 19 febbraio 2013

FIABE E LEGGENDE DI PUGLIA /// Recensione di Angelo Sconosciuto apparsa su "La Gazzetta del Mezzogiorno" di lunedì 18/02/2013


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Richiamano i momenti più significativi della tradizione orale della nostra terra
Le belle fiabe
e leggende
di questa terra







Di Angelo Sconosciuto
Basterebbe già citare «Il Laùro» per dare la cifra di un impegno.
Ma se, andando oltre «il folletto» salentino - chiamato in tanti altri modi non solo nella nostra comunità ma anche, ad esempio, in quella arbereshe - aggiungiamo una serie di titoli: «Il più bel fiore che sia mai fiorito» e « Il frate di Avetrana»; «L’incanto» e «Il campanile dei diavoli»; «Il fantasma di Bianca» e «La rupe della dannata», «I fratelli invidiosi» e «Dom Placido»; «Greguro e Margherita» e ancora «La figlia di re Fierarmata»; quindi «La fortuna di Gasparotto » e «La statua di neve» e poi ancora «L’asino sopra il campanile » e «I lestrigoni a Santa Cesarea» e poi ancora «Regina per imbroglio» e «Il principe vecchio», nonchè «Il crocefisso del disertore» e «Le tre sorelle» e «Coraggio e morte di Giulio Antonio Acquaviva» e «Quando venne tempo di malaria» e «Pizzomunno». E come se ciò non bastasse portiamo ancora all’attenzione dei lettori «Tumulo e Kalimera», «Il miracolo dei fanciulli», «Idomeneo», «San Giuseppe e il cappello», «Il menestrello», «Il carnevale del conte», «Le procellarie», «Il tesoro di Diomede », «I garofani del Bey innamorato », «Il tradimento del frate di Otranto», ecco che l’appuntamento di domani diventa tra quelli imperdibili.
sce infatti, per Capone Editore, «Fiabe e Leggende di Puglia» di Antonio Errico, che con Maurizio Nocera è stato chiamato a dirigere la nuova collana «La terra e le storie» che appunto al n. 1, propone queste 128 pagine di fiabe e leggende nostrane. «“Mi dicono che da fanciullino – scrive Giacomo Leopardi in una pagina dello Zibaldone –, stavo sempre dietro a quella o questa persona perché mi raccontasse delle favole...”. È un ricordo, questo, che appartiene un po’ a tutti noi che da bambini, in silenzio e con stupore, ascoltavamo chi ci narrava storie d’incantesimi, di pozioni magiche, di re savi, di passioni, di santi, di sirene, di tesori, di diavoli, di streghe - si legge nella presentazione -. Storie che risalgono in età matura dal profondo della nostra memoria riportandoci ad un passato che non è solo nostalgia. I testi di questo libro costituiscono riscritture del tutto originali di fiabe e leggende pugliesi che trovano la loro provenienza nella tradizione orale e scritta di cui si dà ampiamente conto. Sono racconti di luoghi, personaggi, monumenti, di tradizioni della regione - si legge ancora - che per secoli sono passati di bocca in bocca e che, ormai, fanno parte della storia come le innumerevoli e belle testimonianze materiali delle quali la Puglia è giustamente orgogliosa ».
Sarà un libro di successo? Probabilmente sì e la risposta diventa certamente affermativa se si pensa alla caratura dell’autore. Antonio Errico, infatti, nato in provincia di Lecce dove vive e lavora come dirigente scolastico di un liceo, ha pubblicato libri di narrativa e di saggistica: «Tra il meraviglioso e il quotidiano» (1985); «Favolerie» (1996); «Il racconto infinito. Saggio su Luigi Malerba» (1998); «Fabbricanti di sapere. Metodi e miti dell’arte di insegnare» (1999); «Angeli regolari» (2002); « L’ultima caccia di Federico Re» (2004); «Salento con scritture » (2005) e poi ancora «Viaggio a Finibusterrae» (2007) e «Stralune» (2008); nonchè «Le ragioni della passione. Approdi e avventure del sapere» (2009); «L’esiliato dei Pazzi» (2012), e ancora saggi e racconti in volumi collettivi. Errico, inoltre, ha curato l’antologia «Poeti a Finibusterrae », edita dalla Provincia di Lecce, e la riedizione di «Secoli fra gli ulivi» di Fernando Manno (2007).

lunedì 18 febbraio 2013

PUGLIA BAROCCA /// Recensione di Felice Laudadio Jr su Larepubblica.it


Guida alla Puglia barocca (Capone Editore)

di Felice Laudadio jr.


Se Lecce avesse lu mare, sarebbe una piccola Bare. Gettare benzina sul fuoco della rivalità tra le due città sembra l’ultima cosa da fare, ma chissà come sarà accolta ‘nderra a la lanze e dintorni la notizia che il capoluogo salentino, ancora nel vivo del 1600, era la capitale della Puglia, la secondogenita del Regno. Quasi unapicciola Napoli, sosteneva Jacopo Antonio Ferrari – in diretta, dal vivo, nel secondo Cinquecento – nella sua “Apologia paradossica della città di Lecce”. Eppure, a quel tempo, era ancora di là da venire la fioritura stilistica del Barocco, che avrebbe cambiato il volto dell’abitato. Non era lontana, però, visto che uno degli sviluppi locali della Controriforma avviata dalla Chiesa cattolica dopo il Concilio di Trento (1545-1563) è stata la trasformazione di Lecce in città-chiesa, fortemente voluta dai padri tridentini. Ogni connotato civile, laico, aconfessionale dello spazio urbano doveva lasciare il posto a un interminabile rosario di edifici sacri. E nella costruzione ex novo di questo patrimonio edilizio confessionale, di lì a qualche decennio, prevalse la cifra stilistica che si andava affermando nella capitale partenopea, da secoli modello di ogni sviluppo nel Meridione. A Napoli, dagli anni trenta del XVII secolo, fioriva uno stile inedito, ridondante, plastico: quel Barocco che tuttora caratterizza l’area salentina e che si candida al riconoscimento quale patrimonio dell’umanità tutelato dall’Unesco. Veniva a crearsi una scenografia urbana rinnovata, con lunghi assi viari, nobilitati da cortine di gioielli edilizi con le facciate esuberanti di decorazioni di pietra calcarea (fregi, orpelli, motivi floreali, animali mitologici). Era una narrazione inedita, attraverso un linguaggio originale, che Mario Cazzato riassume in un suo nuovo saggio, una guida alla “Puglia barocca” (136 pag. 18 euro), eccezionalmente illustrata e tutta a colori, per i tipi Capone, editore du pais. Progetta ed elabora contributi editoriali interregionalidalla sua base operativa di Cavallino, Lecce.
Il lavoro dell’architetto salentino è una sintesi storica e sapientemente fotografica del Barocco, un patrimonio artistico identitario, proprio perchè connota la Terra d’Otranto, dal punto di vista tanto architettonico che urbanistico. È in questo territorio che la storiografia tradizionale colloca quasi esclusivamente il fenomeno stilistico del barocco, anche se l’autore lo riscontra in altre localizzazioni dell’intero territorio regionale, al quale si è esteso tuttavia solo nel 1700. Nel secolo precedente, al momento della nascita e prima diffusione del barocco, l’area privilegiata era il Salento, soprattutto il Leccese, col capoluogo davanti a tutti gli altri centri. Accompagnati passo per passo da Mario Cazzato, si potrà agevolmente seguire lo sviluppo di un linguaggio elitario, che si estenderà progressivamente all’intera provincia, allungando significative e non episodiche propaggini nel territorio barese.
Ecco perché si parla di barocco leccese – a giusta ragione secondo l’architetto che dal 1986 firma saggi accurati, anche a quattro mani, sulla civiltà barocca salentina – e non di barocco barese o di barocco foggiano. Tanto più che questo più che quello può considerarsi una derivazione diretta del barocco napoletano. A sua volta, l’affermazione nell’area partenopea di uno stile così caratteristicamente pletorico e ostentato precede di almeno quindici anni l’approdo a Lecce, con le opere di Cesare Penna.
Cazzato individua parametri temporali precisi. Al grande fermento iniziale del decennio 1647-1656 nel leccese e in altre zone pugliesi, segue dal 1656 al 1670 l’autentico boom del barocco leccese, che diventa salentino tra il 1670 e il 1780. Per fare dei nomi, Giuseppe Zimbalo (1620-1710) è la prima figura di riferimento nel movimento architettonico locale e la sua attività incontra quella di Giuseppe Cino (1644-1722) e relativa scuola. La svolta decisiva arriva con Mauro Manieri (1687-1744), che spinge l’ambiente artistico verso una radicale critica dell’esasperato decorativismo barocco di quegli anni. Il terremoto del 1743 fa da spartiacque, con l’affermazione del rococò, che unificherà basso ed alto Salento, diversificando la maniera salentina da quella napoletana, che invece andava influendo sempre di più la Puglia centrale e soprattutto la Capitanata.
È lo stesso autore ad avvertire che la sinteticità della ricostruzione e il taglio prevalentemente storico lasciano necessariamente in ombra non pochi fenomeni degni di un esame più ampio. Per ovviare, nel volume appaiono schede autonome di approfondimento. Anche la bibliografia è ridotta all’essenziale, precisa Cazzato: si segnalano soltanto i contributi innovativi sul piano critico e documentario.

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martedì 5 febbraio 2013

PUGLIA BAROCCA /// Recensione di Angelo Rossano apparsa sul "Corriere del Mezzogiorno" di martedì 22 gennaio 2013


Dietro il volto barocco
della Puglia

I portali, le facciate, gli altari: il barocco ha il suo profilo, il suo idioma, il suo sguardo sospeso sulla pietra. Nel volume di Mario Cazzato, (Puglia barocca, Capone editore, pagg. 135, euro 18), si rintracciano le fila di uno stile imperdibile, unico e di un gusto che attraversa la regione in lungo e in largo.



Il libro L’antologia ragionata di Mario Cazzato, con un ricco corredo iconografico
Viaggio nella
«Puglia barocca»

È più di un libro. Ed è più anche di un'antologia. Grazie alle immagini è una passeggiata struggente nella Puglia Barocca. È una ricerca continua di particolari poco noti, dettagli esaltati dalla descrizione o dalla fotografia. È una miniera di curiosità, informazioni, notizie. Edito da Capone Editore, Puglia Barocca di Mario Cazzato (pp. 136, euro 18) è - come spiegato in premessa - una storia generale del barocco pugliese in quanto categoria artistica e segnatamente architettonica.
E per chiarire che barocco in Puglia non vuol dire solo Lecce, basta arrivare a pagina 3, e poi subito alle pagine 4 e 5. Infatti, se la copertina del libro è dedicata a un particolare di palazzo dei Celestini a Lecce (foto di Vincenzo Marchionno), già a pagina 3 c'è Martina Franca e a 4 e 5 Barletta con Palazzo della Marra.
Per proseguire nel viaggio sotto la guida di Cazzato non è affatto necessario essere esperti d'arte o d'architettura. Basta avere nel cuore questa terra e negli occhi un po' di curiosità. E anche una certa disponibilità per una scrittura che non si dedica particolarmente alla semplicità, quanto piuttosto alla precisione sin nel dettaglio. Dinanzi al pozzetto del Convento degli Olivetani, l'autore spiega «quali dinamiche si attivarono in maniera tale da rendere la realtà della Puglia meridionale assai più ricettiva nei confronti del fenomeno barocco». Un fenomeno che non è «un unico» se già nel secondo capitolo si parla della transizione al barocco, della «maniera leccese» e della «maniera neretina».
Ogni pagina ha un'immagine che riscopre un dettaglio e racconta una storia. Dalla bellissima chiesa di San Domenico a Nardò alla Cattedrale di Gallipoli, dalla chiesa di Sant'Irene a quella di Santa Croce a Lecce. Ogni tanto conviene fermarsi nell'inseguire queste bellezze senza tempo. Come nel caso dell'altare maggiore delle Carmelitane Scalze sempre a Lecce. Di quest'altare Cazzato racconta la storia, le trattative condotte con l'artista per
la realizzazione e persino il compenso pattuito. Ed eccoci poi a Ostuni, e poi a Maglie, a Francavilla Fontana.
Il viaggio continua nella geografia e nella storia. E descrive gli effetti che ebbe su arte e architettura il terribile terremoto che «nel giorno 20 del mese di febbraio dell'anno 1743, giorno di mercoledì ad ore 23 e mezza» si propagò dall'epicentro nel canale d'Otranto.


Di Angelo Rossano


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lunedì 4 febbraio 2013

PUGLIA BIZANTINA /// Recensione di Fabio A. Grasso apparsa su "Paese Nuovo"


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I santi, venivano dal mare
Un “percorso pugliese” fatto di paesaggi, architetture, dipinti e sculture
Nino Lavermicocca, “Puglia Bizantina. Storia e cultura di una regione
Mediterranea (876 – 1071)”, Capone editore 2012

Di Fabio A. Grasso







Un libro di storia è sempre un viaggio alla ricerca di un tempo perduto ed è sempre un tassello in più nella costruzione di quello che è “il libro di storia” per eccellenza, presente nelle nostre teste ma mai scritto e mai lo sarà perché, scritto, non deve esserlo.
Quello che abbiamo definito è, per sommi capi, il codice nascosto del leggere e dello scrivere che aumenta il suo fascino nel momento in cui un racconto ed il libro che lo contiene, si rivolge alla storia di una terra, di un popolo ed è fatto di immagini.
Nino Lavermicocca, ha pubblicato, recentemente per Capone Editore il volume Puglia Bizantina / Storia e cultura di una regione mediterranea (876 – 1071). L’autore ha affrontato con chiarezza espositiva un argomento, quello della presenza bizantina in Puglia, fondamentale per la storia di questo territorio, per la sua comprensione anche nelle propaggini più moderne e contemporanee.
Il volume si divide in due sezioni: la prima dal titolo “Una storia avvincente: dall’esarcato di Ravenna al Catapanato di Bari”; la seconda, dal titolo: “Fragmenta: le tracce sparse di Bisanzio nelle città e nelle campagne”. Chiude la bibliografia a cura di Stefano Lavermicocca.
Le immagini, a colori ed in bianco e nero, si affiancano al testo creando un “percorso pugliese” fatto di paesaggi, architetture,
dipinti e sculture. L’autore fa trascorrere alcuni minuti nel pretorio bizantino di Bari, ad Otranto, a Carpignano, Giurdignano, Poggiardo, Vaste, Muro Leccese, Nardò, Lecce, Gallipoli, Taranto, “La piccola Costantinopoli” ovvero Brindisi, Oria con la sua cittadella di Jahvè, San Vito dei Normanni, Fasano. E poi, a Monopoli, Bari, Bitonto, Giovinazzo, Trani, Canne, Canosa,
Altamura, Gravina con la sua “valle di Dio”; ed ancora più a Nord fino alla terra dei Catapani (Catapanata). Si scopre, così, leggendo, fra un rigo e l’altro una Puglia multietnica dove convivevano Arabi, Armeni, Ebrei, una terra con una mano tesa verso l’Oriente e Costantinopoli, e l’altra verso Roma e l’Occidente; una terra dove i santi venivano dal mare e dove le immagini sacre, seppure colme delle loro ieraticità distaccata sembravano riempirsi di una calda umanità. Questa ieraticità è ancora qui, fra le righe, le pagine di questo libro, fra le pieghe delle nostre storie passate, presenti e future.


Link correlati:
Nino Lavermicocca, "Puglia bizantina. Storia e cultura di una regione mediterranea (876-1071)", Capone Editore 2012

PUGLIA BIZANTINA // Recensione di Marilena di Tursi, apparsa sul "Corriere del Mezzogiorno" di domenica 8 luglio 2012

PUGLIA BIZANTINA// Recensione di Giacomo Annibaldis apparsa su "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 13/08/2012