mercoledì 11 luglio 2018

RACCONTI DAL SALENTO / / / "La narrativa di Carlo Petrachi tra bozzettismo e tradizione del 'cunto'", recensione a firma di Gigi Montonato apparsa su "Presenza Taurisanese" di giugno 2018


Racconti dal Salento

La narrativa di Carlo Petrachi

tra bozzettismo e tradizione del cunto


Probabile che nei suoi Racconti dal Salento (Cavallino, Capone Editore, 2018, pp. 128, € 10,00) Carlo Petrachi non abbia inventato nulla, ma tutto trasnominato per evidenti necessità narrative. Unici nomi rispondenti a persone vissute e conosciute sono quelli di Achille Lauro e Alfredo Covelli, i due leader monarchici, che convincono l’avv. De Riccardi a candidarsi (L’acchiatura), e quello di Luciano Graziuso padre, ufficiale dell’esercito nella Grande Guerra (La misteriosa vendetta del soldato). A parte Mussolini, il generale Montgomery o il capo slavo Tito – qualcun altro forse mi sfugge – i quali, nel racconto, sono sfondo come il mare o la campagna; quelli della storia, questi della natura. Il resto, l’umanità raccontata, è tutta negli agnomi dei suoi eroi, nel modo come erano chiamati, per come erano o per quello che facevano, anagrafe infallibile e insostituibile della gente che registra da sé e per sé.
In fondo, vero o inventato, che cambia? Certe storie sono come certe statue, fanno tutt’uno col materiale di cui sono fatte. Nei racconti di Petrachi la “materia” è un impasto di ricordi, di fatti, di persone, di lingua, di sentimenti, di bisogni, di desideri, di vita paesana, vera. Una materia che l’autore padroneggia con maestria, sapendo modulare convessità e concavità, nel gioco dei chiaroscuri narrativi. La didascalicità del sottotitolo dichiara la multifinalità dell’autore: arte narrativa, con inevitabili afferenze antropologiche, etnografiche, linguistiche, ma anche didattiche; “proverbi, modi di dire, luoghi, locuzioni, nomi e soprannomi in dialetto salentino”. Un’operazione culturale in cui la componente narrativa non perde, per questo, scorrevolezza e curiosità di lettura e fa assaporare il piacere di quelli che una volta si chiamavano cunti, che venivano raccontati d’inverno davanti al focolare o d’estate al fresco di un ombracchio o nei bar per vincere la noia paesana. La locuzione < dal Salento > meglio esalta la provenienza.
Petrachi è di Melendugno, uno dei feudi più vasti della provincia, con le marine tra le più belle e suggestive del Salento, con San Foca, Torre dell’Orso, Roca: luoghi di leggende, di approdi mitici. In questi ultimi tempi questi luoghi sono assurti alla cronaca nazionale per via di altri approdi, di un contestatissimo gasdotto fatto approdare da quelle parti. Forse i melendugnesi si oppongono disperatamente per conservare intatto l’incanto di quei luoghi, che la narrativa di Carlo Petrachi in un certo senso iberna.
Le storie narrate si inseriscono in questa realtà in tutto l’arco temporale del ‘900, una realtà assai diversa per condizioni e concezioni di vita nello scorrere del secolo. Nei racconti della prima parte, che temporalmente arriva fino agli anni della ricostruzione, l’Autore narra una società del bisogno secondo la raffinata arte del bozzetto; nei racconti della seconda parte, grosso modo del benessere e dell’emigrazione di ritorno, la prosa si libera da propositi di tradizione e risente di atmosfere moraviane e cinematografiche.
La “regina” della prima parte è Cetta Sarda del racconto Miseria. La mettiamo in vetrina. “Se vi avessero detto che la Cetta Sarda aveva appena trent’anni non ci avreste creduto a vedere i suoi capelli come stoppie sparpagliate, gli occhi cerulei che sembravano vuoti, il suo sorriso smarrito, senza denti e il bambino, a cui si potevano contare le tenere costole, che infilava la manina nella scollatura slacciata e prendeva il suo seno sgonfio come un sacco vuoto e avvizzito come una foglia d’autunno e, quasi fosse uno straccio, ci giocava un po’ prima di posizionarlo in bocca per succhiare un po’ di latte e subito dopo mettersi a piangere”. Una maternità degna di un pittore o di uno scultore.
Non realismo non neorealismo, siccome si tratta di una realtà che non esiste più, è magismo di realtà. In cui si ravvisa una sorta di partecipazione emotiva dell’autore fra nostalgia dei tempi e soddisfazione di rievocarli come cifra d’arte e di storia.
Prevalgono nei racconti più le vedute d’insieme, gli ambienti, che i profili umani, anche se a volte emergono tipi, degni della migliore narrativa verista. Decisamente più riuscite le figure femminili: Brizia, Assuntina, Rosetta: eroine che non sono dissimili, a ben riflettere, dalle donne di oggi, fatte le differenze dei tempi e delle condizioni. La Marlisa del racconto Lontano lontano presagisce costumi assai diversi da quelli di Rosetta del racconto La paglia annanti lu focu…, meno castigati. Ma il fuoco sessuale fa strame di entrambe, in una con la felicità dell’approdo matrimoniale, nell’altra col rimpianto di un amore bruciato dagli eventi ostili della vita.
Il lieto fine caratterizza gran parte dei racconti, è forse il dato più popolare della narrativa di Petrachi, perché è tipico del popolo – specialmente in tempi di sofferenza come quelli evocati dall’autore – ipotizzare la vittoria del bene sul male, bilanciare e superare la condizione di sofferenza con il vagheggiamento di un riscatto finale, per un’esigenza risarcitoria. Da questo punto di vista il racconto L’acchiatura meglio risponde alla favola bella di ogni fanciulla orfana e povera. Assuntina Quatthrupezze è la Cenerentola salentina, che parte da Lecce a Roma come donnetta di servizio per diventare marchesa, sposa e madre felice. Brizia, altro archetipo popolare, è la fanciulla scaltra che salva l’onore e l’amore contro il signore feudale malvagio che rivendica lo jus primae noctis con uno stratagemma degno di Shahrazad di Mille e una notte.
I racconti temporalmente più vicini entrano in un’ottica diversa, nella quale il piacere di narrare supera l’esigenza di dire e di tramandare. Racconti come Lo specchio e Ultimo scherzo sono veramente ben congegnati e fanno pensare a certi film di Mario Monicelli, come Amici miei.
Sullo sfondo un mondo più che popolato direi evocato di macàre, di credenze popolari, di superstizioni, di scazzamurrieddhri che, anche quando, come ne L’inafferrabile presenza dell’Eremita, emerge uno scarto culturale tra credulità e razionalità – nessuno ci crede – non lasciano che questa prevalga del tutto. O come ne La misteriosa vendetta del soldato, dove la credenza popolare, ampiamente esibita, è alibi per coprire soluzioni assai più razionali.
L’Autore si serve del plurilinguismo per rendere più vero e colorito il racconto. Lo si nota soprattutto ne L’acchiatura, che è il più lungo e disteso e si pone come transito tra le due società del Novecento, con spartiacque la seconda guerra mondiale. Qui la voce narrante si fa da parte col suo italiano e cede al dialetto salentino, al dialetto romano e al latino dei suoi personaggi.   


Gigi Montonato

venerdì 4 maggio 2018

È disponibile in libreria "Racconti dal Salento. Con proverbi, modi di dire, luoghi, locuzioni, nomi e soprannomi in dialetto salentino" di Carlo Petrachi

Carlo Petrachi

Racconti dal Salento.

Con proverbi, modi di dire, luoghi, locuzioni,
nomi e soprannomi in dialetto salentino



Capone Editore






IL LIBRO: Chi eravamo? Chi siamo? Cos’era, com’era il Salento al tempo degli avi? Attraversando quali sentieri siamo giunti sino ai nostri giorni?
A tutte queste domande l’Autore cerca di dare una risposta attraverso una serie di racconti agili e piacevoli che forniscono una panoramica, tanto rapida e sintetica quanto significativa, di una Terra d’Otranto molto diversa da quella che conosciamo oggi.Carlo Petrachi riporta alla luce un universo altro per modi di vivere e di ragionare, la cui cultura si fondava su regole non sempre scritte, fatte soprattutto di usi consolidati e di “certezze” – ma anche di mistero e di magia – che si manifestavano attraverso detti, proverbi, credenze… una società scomparsa perché, giocoforza, si è dovuta mettere “al passo coi tempi”, trovandosi di conseguenza di fronte a nuovi problemi che richiedono nuove soluzioni, stravolgendo così – fin quasi a cancellarlo – il proprio passato.
Ogni cultura, è scontato, è figlia della propria epoca e se da un lato è raro che il passato ritorni d’attualità, dall’altro si crea attorno a “ciò che è stato” un interesse che spinge – e non solo le nuove generazioni – ad una presa di coscienza profonda, un rinato desiderio di difesa della conoscenza di noi stessi;da qui la necessità di volersi ri-conoscere e raccontare, anche attraverso l’invenzione di storie, quasi un riflusso omerico che rispecchia la voglia di una cultura identitaria, più che salentina, tipicamente mediterranea.




L'AUTORE: Carlo Petrachi è nato a Melendugno (Lecce) il 16 marzo 1948. Già maestro elementare, si è sempre dedicato alla ricerca di scritti riguardanti il proprio territorio, scoprendo autori spesso dimenticati o addirittura inediti.
È autore di articoli di storia e cultura meridionale, di recensioni riguardanti scrittori meridionali, apparse in riviste e quotidiano
Rina Durante lo ha definito un narratore che restituisce dignità al racconto.
Ha pubblicato inoltre: Niceta Rizzo, una vita per la lirica (biografia), Galatina ( Le) 1987; Marine di Melendugno (vademecum storico con itinerari turistici) 1988; La leggenda di Fontanella (fiaba), Melendugno (Le) 1993; … e arrivò la Befana (novella), Melendugno (Le) 1994; Lontano nel tempo (novella) Melendugno (Le) 1994; Il talismano di re Arta (fiaba), Melendugno (Le) 1995; Le chiavi (novella), Melendugno 1996;La spada dai raggi di luna (romanzo), Fermo (AP), 1998; Melendugno e Borgagne – Elementi per una storia civica, Lecce 2009;Tra storia e memoria, Melendugno 2012;Salentitudine mare mistero magia, Lecce 2017.


Caratteristiche tecniche e riferimenti bibliografici: Carlo Petrachi, Racconti dal Salento. Con proverbi, modi di dire, luoghi, locuzioni, nomi e soprannomi in dialetto salentino, Capone Editore, Lecce 2018.
Formato 15x21 cm, 128 pagine.
 ISBN:  978-88-8349-232-7, Euro 10,00

giovedì 26 aprile 2018

È disponibile in libreria "Ugarit. La nascita dell’alfabeto" di Massimo Baldacci

Massimo Baldacci

Ugarit

La nascita dell'alfabeto


Capone Editore
   











IL LIBRO: È dal 1929 che abbiamo capito da dove fare derivare il nostro modo di scrivere: in quell’anno iniziarono infatti gli scavi al sito archeologico di Ugarit, sulla costa della Siria, uno dei più importanti del Vicino Oriente antico per scrivere la storia del Bronzo Tardo e delle grandi potenze dell’epoca, l’Egitto, Mittani, l’Assiria e l’impero hittita.
   Vennero alla luce anche le prime tavolette di argilla con incisi i segni di una scrittura consonantica alfabetica sconosciuta, la più antica fino ad oggi trovata. I segni incisi sull’argilla erano di tipo cuneiforme, dati cioè da differenti combinazioni di cunei.
   Ugarit, una città dedita al commercio su nave, aveva affidato all’argilla e all’alfabeto non solo i documenti contabili, ma la vita quotidiana dei suoi abitanti, gli equilibrismi politici per fare in modo che le armi non prevalessero sui traffici commerciali, oltre ai primi tentativi per trasformare in enoteismo le credenze religiose politeiste e avviare così quel ricchissimo processo sincretico che troverà terreno fertile nell’Israele biblico.
   Rešu (oggi Ras Ibn Hani) e Ma’ḫadu (oggi Minet el-Beida), i due maggiori porti di Ugarit sul Mediterraneo, servirono per veicolare nel resto del Vicino Oriente e in Occidente, merci di lusso ma anche cultura, in particolare l’alfabeto.
   Il collasso generale che pose fine al Bronzo Tardo (XII sec. a.C.), fermò anche l’ascesa economica e politica di Ugarit: su alcune delle sue tavolette possiamo leggere con la vivezza della cronaca gli ultimi atti di quella che fu una rivoluzione politica, economica, sociale e che scandì il passaggio dall’età del Bronzo a quella del Ferro.
   Il volume segue la scoperta di Ugarit e del suo incredibile alfabeto mostrando i vari aspetti della quotidianità che si viveva nella città, attraverso ciò che l’archeologia e la lettura dei testi hanno rivelato: in molti casi, al lettore non sembrerà che da allora siano trascorsi oltre tremila anni.


L'AUTORE: Massimo Baldacci (Università di Roma La Sapienza) è Annually Invited Professor nell’Università di Stuttgart, Germania. Autore di pubblicazioni scientifiche su Riviste specialistiche edite sia in Italia che all’estero, come saggista ha pubblicato con le maggiori case editrici italiane: Storia di Ugarit. Una città stato ai primordi della Bibbia, Piemme 1996; Il libro dei morti dell’antica Ugarit, Piemme 1998; Il Diluvio, Mondadori 1999 (2a ed. Oscar Mondadori 2000); Prima della Bibbia: sulle tracce della religione arcaica del Proto-Israele, Mondadori 2001 (2a edizione 2003); Il male antico, San Paolo Edizioni 2008; Le Guerre di Ugarit, Chillemi Editore 2014; Le origini della navigazione. Mesopotamia e Mediterraneo antico, Capone Editore 2016.

Caratteristiche tecniche e biobibliografiche: Massimo Baldacci, Ugarit. La nascita dell'alfabeto, Capone Editore, Lecce 2018. Formato 15x21 cm circa, illustrato, pagine 152, euro 14,00.
ISBN: 978-88-8349-231-0

I primi volumi della Collana Mediterraneo / Le Capitali della Cultura:
Ugarit. La nascita dell’alfabeto.
Ebla. Alle origini della cultura urbana.
Menfi. La porta del ‘mare di mezzo’.
Enkomi. Una storia del Mediterraneo.
Karkemish. La politica dei commerci.
Emar e la nascita del diritto.
El Amarna. Da Canaan alla Bibbia.
Knosso. La politica dei Palazzi e l’amministrazione nell’Egeo.
Micene e i poemi omerici.
Il Mediterraneo dei Fenici.
Mozia. I Fenici di Sicilia.
Tharros. I Fenici di Sardegna.