Il mito e la storia
nelle Novelle popolari salentine
di Felice Laudadio
Deve moltissimo
ai concittadini: nel testo «Novelle popolari salentine» (Capone editore, Lecce,
2016) l’autore, il tavianese Giuseppe Cassini, apre i suoi brevi ringraziamenti
con la sincera riconoscenza per i compaesani, soprattutto quei contadini che
hanno avuto la pazienza, ma anche il piacere, di raccontargli molte delle
leggende e delle vicende narrate.
Giuseppe
Cassini è nato e vive a Taviano (Lecce). Insegnante e poi dirigente (è stato
presidente provinciale dell’Associazione nazionale dirigenti scolastici, oltre
che amministratore comunale), ha pubblicato brevi saggi di didattica e politica
scolastica, due raccolte di scritti sulla multicultura a scuola e sulla
sperimentazione dell’autonomia, nel 2003 e nel 2007. Successivamente, si è
dedicato alla valorizzazione delle tradizioni del Salento, e la ricerca lo ha
portato alla redazione di queste novelle, che segnano il suo esordio nella
narrativa.
Pur
essendo il prodotto di una brillante fantasia, questo lavoro si basa proprio
sulla salentinità diffusa e sulle fonti popolari locali. È il settimo titolo
della collana, edizioni Capone, «La terra e le storie», diretta da Antonio
Errico e Maurizio Nocera, che firmano rispettivamente la prefazione e la
postfazione. Le illustrazioni di Mario Venneri arricchiscono e commentano i
testi.
E dire
che le favole non esistono. Ricordate Giambattista Vico? L’autore lo
cita nella presentazione delle novelle. Per il filosofo napoletano, il mito -
medium attraverso il quale i popoli antichi esprimevano la propria cultura -
non era né solo leggenda né solo verità raccontata in forma fantastica.
Conteneva pezzi di storia e di vita degli uomini, oltre a risentire delle
dinamiche sociali delle comunità di allora.
Niente
paura, Cassini rassicura grandi e piccini: l’affermazione vichiana potrebbe non
essere universalmente valida. Tuttavia, riconosce, lo è certamente
per le novelle di questa raccolta, che restano saldamente legate alla vita
vissuta anche le poche volte che assumono la forma della fiaba o della favola.
Il
volumetto delle novelle (136 pagine) è diviso in due parti, due realtà molto
diverse tra loro, ma allo stesso tempo molto simili e di fatto consequenziali,
due facce della stessa medaglia.
La prima
parte è costituita da ventiquattro novelle, di contenuto verista, verismo
rusticano, che interpreta il vissuto, i sentimenti, il modo di porsi, di
contadini, braccianti, umili lavoratori agricoli. Questi racconti, episodi,
indovinelli, di origine contadina, sono strettamente collegati alla realtà
quotidiana e non presentano contenuti/aspetti magici e favolistici, semmai
moralistici, in qualche modo pedagogici, e alla fine risultano spiritosamente
ma bonariamente critici con preti e padroni.
Nella
seconda parte, «La Congrega della comare Tetta», protagoniste sono le donne, addette
alla cura della casa più che alla fatica nei campi. Il punto di vista è quindi
quello delle mogli dei contadini, tutte casa, Chiesa e raccolto. E non solo.
Toccavano a loro anche le incombenze domestiche, la cura dei figli e degli
anziani, la filatura di lana e cotone, la tessitura, i lavori di supporto
all’economia agricola (la trasformazione e conservazione dei prodotti della
terra e quant’altro).
Concretezza
contadina contro immaginazione, due mondi completamente diversi, nonostante
agissero nello stesso contesto. Nella narrazione agreste predominano la terra,
gli elementi primordiali e accenni di sapienza arcaica, mentre nella sfera
casalinga si scivola nel magico, nel mistico e nel soprannaturale, in un
sommarsi di streghe e incantamenti, di anime del Purgatorio e di contatti con
l’Aldilà. La realtà, la cronaca, erano affidate infatti, nel mondo femminile,
al pettegolezzo, che, per essere intensamente vissuto, abbisognava di essere
ampliato e infiorato di fantasticherie e di congetture. Ma Giuseppe Cassini
non è affatto ingeneroso con le donne, riconosce in loro una solida
concretezza, manifestata nelle incessanti cure della casa, che gravavano
interamente sulle loro spalle, tanto da renderle le autentiche colonne
dell’organizzazione familiare. Le fantasticherie e il soprannaturale,
insomma, servivano solo come svago, sebbene fossero una realtà intensamente
vissuta e accettata.
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