I cavalieri Argonauti
di San Nicola
di Felice Laudadio Jr
È l’ultimo capitolo, ma per i baresi è
il più interessante. Si conclude con alcune pagine di notizie sugli Argonauti
di San Nicola il nuovo saggio storico di Orazio Ferrara dedicato agli Ordini
cavallereschi e ospitalieri medievali, pubblicato tra le novità dell’editore
salentino Capone (“Il saio e la spada Orazio Ferrara – Il saio e la spada”, 128
pag. 10 euro). Argonauti sta per marinai, ma i consacrati erano di fatto dei
crociati. Raggiungere la Palestina per vendicare con le armi la morte di Gesù e
restituire la Terra Santa ai cristiani – spade levate contro ebrei e musulmani,
dunque –questo lo scopo della confraternita costituita da Carlo III re di
Napoli, Sicilia e Gerusalemme. Ma a differenza dei troni nelle due capitali del
sud, quello gerosolimitano era solo virtuale per il già duca di Durazzo e per
approdare alle coste del Medio Oriente occorreva attraversare il Mediterraneo.
Proprio questo assegnava ai Cavalieri della Nave o Argonauti di San Nicola il
carattere distintivo rispetto a tutti gli altri ordini religiosi-militari del
medioevo: “la singolarità di essere un ordine con forti accentuazioni
marinaresche”. Considerato che il vero motivo della creazione del nuovo
Ordine, nel dicembre 1381, era concedere al suo fondatore e primo gran Maestro
un regno prestigioso e il titolo influente di Difensore del Santo Sepolcro, non
è difficile comprendere perché la scelta devozionale di re Carlo sia caduta su
San Nicola. Non solo era uno dei santi più amati dai monaci-cavalieri, a
cominciare dai Templari, ma soprattutto conciliava le esigenze
religiose-militari con quelle marinaresche, in quanto protettore di navi e
marinai, secondo la leggenda, “dura a morire presso i vecchi marinai di
baresi – scrive Ferrara – che il santo, prima di essere vescovo, sia
stato un provetto marinaio”.
Nelle cerimonie i cavalieri indossavano un mantello azzurro, fitto di gigli
dorati ricamati. In testa, un berretto di velluto nero, con una placchetta
d’oro che recava l’araldica degli Argonauti: una nave nel mare in tempesta e il
motto: Non cedo tempori. L’effigie era anche riprodotta in una medaglia,
appesa al collo con un cordone di seta bianca e rossa intrecciata, chiuso da
nappina e nastro sempre bicolori. È utile indicarlo visto che l’Ordine della
Nave o degli Argonauti di San Nicola è pressoché sconosciuto, non sopravvisse
infatti alla morte del suo fondatore, tanto da risultare in piena decadenza già
alla fine del XIV secolo.
Il lavoro di Orazio Ferrara (nato a Pantelleria, vive a Sarno e scrive di
navigazione e storica per Capone ed altri editori) è attento anche alla
marineria pugliese al tempo dei Templari, tra gli altri capitoli monografici
dedicati agli ordini militari diversi da quelli più noti (sarebbe sbagliato
dire minori). Oltre ai cavalieri di San Giovanni (poi di Malta), dei Teutonici
e del Tempio, altri religiosi armati si sono distinti al servizio della
Cristianità: il testo considera innanzitutto i monaci-guerrieri dal bianco mantello
dell’Ordine di Santa Caterina, a guardia del Sinai; quelli del Fuoco Sacro o di
Sant’Antonio Abate; della Confrérie de Monseigneur Saint Antoine de Barbefosse;
di San Giacomo della Spada e i Monaci Bianchi ospitalieri che operavano in
devozione della Materdomini, una delle sette Madonne napoletane. Tra delle più
affascinanti, sempre delle meno note, è la Nobile Compagnia dello Spirito Santo
del Diritto Desiderio, detta del Nodo d’Amore, i cui bianchi cavalieri dovevano
sciogliere il nodo simbolico in caso di uccisione e potevano riannodarlo solo
visitando il Santo Sepolcro da umili pellegrini. Nel capitolo sulla marineria
pugliese, con i suoi porti d’imbarco strategici verso la Terrasanta, spiccano
le consuetudini e ordinamenti marittimi che hanno anticipato le Tavole
amalfitane e sono di fatto tra gli antenati dell’attuale codice della
navigazione e della disciplina portuale e nautica fatta osservare dalle
Capitanerie.