Da Raffaele Nigro,
edito da Lorenzo Capone,
un libro che ci introduce nel mondo dei cantastorie
che colmavano l’assenza di spettacolo
Qui
si racconta
Sabato 27 ottobre, alle ore 18,00 nella sala consiliare del
Comune di Villa Castelli in Piazza Municipio, la presentazione del volume Ascoltate, signore e
signori. Ballate banditesche del Settecento meridionale, di Raffaele Nigro.
Interverranno Rocco Biondi, l’editore Lorenzo Capone, Valentino Romano e l'autore del libro Raffaele Nigro.
Rocco BIONDI
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Raffaele Nigro,
ultimo cantastorie contemporaneo (come viene definito da Valentino Romano nella
prefazione), con questo suo libro ci introduce e immerge nel mondo dei
cantastorie, che colmavano l'assenza di spettacoli nei piccoli centri, nei
borghi sperduti, nei cortili delle masserie. Nel tempo la televisione li ha
soppiantati e fatti sparire.
Arrivavano durante
le feste popolari e dei santi patroni, si fermavano nei piazzali, davanti ai
santuari, nei luoghi destinati alle fiere e ai mercati, issavano il telone con
le raffigurazioni della storia, mettevano mano a uno strumento musicale (liuto,
ribeca, chitarrone, ghironda) o si affidavano alla melodiosità della solo loro
voce, e raccontavano le loro storie. Alla fine il cantastorie passava con la
mano o col berretto teso, ad accogliere qualche obolo, e cercava di vendere un
libretto o un foglietto a stampa dei suoi versi.
I temi trattati
erano vari, generalmente si ispiravano alla cronaca o all'agiografia, e
andavano dai canti religioso-narrativi ai componimenti epico-cavallereschi,
alle novelle d'amore tragico e infelice, alla mitologia, alle composizioni
satiriche e burlesche.
Nigro in questo
libro ha raccolte e commentate cinque ballate che sono imperniate sulla vita di
briganti meridionali.
Si comincia con la
ballata su "Don Ciro Annicchiarico", raccontata da Leonardo Arcadio.
Questo autore, nato nel 1771, era un bracciante che d'estate si trasformava in
girovago cantastorie. L'Annicchiarico, nato a Grottaglie in provincia di
Taranto nel 1775, era un prete che si innamorò di una donna detta "la
Curciola", della quale si era invaghito anche un altro prete grottagliese,
don Giuseppe Motolese, appartenente ad una famiglia facoltosa. Il Motolese
rimane ucciso nella notte della Madonna del Carmine del 16 luglio 1803;
dell'omicidio viene accusato Don Ciro, che arrestato riesce a fuggire divenendo
brigante. La sua carriera brigantesca finisce l'8 febbraio 1818 con la fucilazione
nella piazza di Francavilla Fontana. Il testo della ballata, pubblicata da
Pietro Palumbo, «è sistemato in 204 quartine di endecasillabi molto
deteriorati, a metratura e rima incerte, a volte alternata, spesso assonanzata
o per nulla rispettata».
La seconda ballata
è la "Istoria della vita, uccisioni ed imprese di Antonio di Santo",
che ha come autore Nicola Bruno, vissuto tra la fine del '700 e gli inizi
dell'800. Il di Santo è un brigante di Solopaga, in provincia di Benevento, che
visse a cavallo tra '600 e '700 e partecipò nel 1701 alla congiura
antispagnola. Quando la congiura fu scoperta, il di Santo riuscì a sfuggire al
carcere dandosi alla macchia e riparando nelle grotte del massiccio del
Taburno. Il cantastorie descrive il brigante come un carattere facinoroso,
attaccabrighe e puntiglioso. Arrestato, riesce a fuggire dal carcere,
scavalcando un alto muro, e dà il via a una serie di vendette personali. La
ballata è composta da 67 ottave in endecasillabi. Il brigante comunque non
muore.
La terza ballata
narra della "Bellissima istoria delle prodezze ed imprese di Angelo del
Duca". Ricordiamo che con questo brigante inizia la storia dell'ormai
classico romanzo di Raffaele Nigro "I fuochi del Basento". Del Duca
era nato a San Gregorio Magno in provincia di Salerno nel 1734. Benedetto Croce
sostiene che Angiolillo avrebbe condotto una vita da pastore almeno fino ai
cinquant'anni, quando per una violenza subita da un suo nipote spara una
fucilata contro un guardiano ammazzandogli il cavallo. Angiolillo è costretto a
fuggire e darsi alla macchia. Operò tra Salerno, Avellino e la Basilicata. Non
si citano nella sua vita episodi violenti o di grassazioni se non ai danni dei
ricchi feudatari e degli alti prelati. Toglieva ai ricchi per dare ai poveri. Nella
rapsodia di Angelo del Duca si arriva persino a parlare di miracolosità delle
sue gesta. Fu impiccato a Salerno il 26 aprile 1784. Il poemetto si compone di
42 ottave.
Il quarto cantare è
la "Istoria della vita e morte di Pietro Mancino, capo di banditi",
che ha come autore il cantastorie cieco Donato Antonio de Martino. Mancino è
una figura che più delle altre si avvicina agli antichi capitani di ventura.
Nato nella prima metà del '600, secondo una fonte a Vico del Gargano, secondo
un'altra a Lucera, uccise due nobili che avevano insidiato l'onore delle
sorelle. Per timore di essere incarcerato fuggì dalla Puglia, mise su una banda
di quindici fuorilegge, seminando terrore tra Puglia e Basilicata. Si recava
spesso in Dalmazia. Combatté al fianco di diversi signori. Nel 1637 lo troviamo
prima a Torino, dove fu nominato colonnello dai francesi, poi alla corte
pontificia con lo stesso grado militare. Morì di morte naturale nel 1638.
Raffaele Nigro inserisce nella raccolta l'edizione Muller di 63 ottave e in
appendice l'edizione Paci-Russo di 62 ottave. Le due edizioni hanno non poche
differenze.
L'ultima ballata,
intitolata "Crudelissima istoria di Carlo Rainone dove s'intende la Vita,
Morte, ricatti, uccisioni, ed imprese da lui fatte", fu composta dal
cantastorie Giuseppe Di Sabato, nato ad Ottaviano. Rainone, originario di
Carbonara di Nola in provincia di Napoli, visse tra fine '600 e primi del '700.
Secondo l'autore del cantare, durante la sua carriera di bandito Rainone si
macchiò di 167 omicidi. A tal proposito scrive Nigro: «Il canto è di
quelli con agnizione negativa, perché a differenza della "Bellissima
istoria di Angiolillo" dove si mettono in luce i pregi dell'uomo, qui sono
le efferatezze del brigante a risaltare». Rainone venne catturato e ucciso il 10
luglio 1672. Il componimento è di 72 ottave.
Quello che Nigro
scrive nel preambolo alla ballata su Pietro Mancino, «questi cantari hanno più
funzione di prodotto letterario che di documento storico», può essere esteso a
tutte le altre ballate.
Nella premessa
alla raccolta delle ballate, Raffaele Nigro fa interessanti e condivisibili
osservazioni sul decennio postunitario, sostenendo che la guerra politica e
sociale di quegli anni fece morire il sogno romantico e la possibilità di voli
fantastici. La cronaca è nemica del mito. L'annessione del Sud all'Italia unita
si era concretizzata in un bagno di sangue. Negli scritti di quegli e su quegli
anni prevale la metodologia scientifica. Dopo il 1861 il romanticismo è morto.
Solo a partire dal 1870 le narrazioni e le edizioni a stampa di storie
banditesche riprendono vigore.
Raffaele Nigro, Ascoltate, signore e
signori, Ballate banditesche del Settecento meridionale, Prefazione di
Valentino Romano, Capone Editore, Cavallino 2012, pp. 198, € 16,00
Recensione di Rocco Biondi apparsa su “Paese
Nuovo” di mercoledì 25 ottobre 2012
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