Cultura popolare
/ in un libro edito da Capone
E Nigro raccoglie
le antiche ballate
sui briganti del Sud
di SALVATORE F. LATTARULO
Clicca sull'immagine per ingrandire |
Narrazione uguale identità.
Questa equazione, tutto sommato lineare epperò resa complessa e quasi
indecifrabile dalla crisi del linguaggio e delle specificità culturali, frutto
del nostro presente liquido e globalizzato, è la trave portante di buona parte
della scrittura di Raffaele Nigro. E regge anche l'ultimo libro consegnato in
libreria per Capone, Ascoltate, signore e signori. Ballate banditesche del
Settecento meridionale. Un'opera notevole di scavo e ripescaggio di quella
letteratura figlia di nessuno, a torto liquidata come produzione minore e
residuale dai critici paludati, ma che costituisce un prezioso giacimento
mnestico, un sotto suolo affollato di frammenti di storia collettiva da mettere
sotto tutela. Per lo scrittore lucano la letteratura in fondo non è che una
grande affabulazione corale tesa a riposizionare il passato entro le coordinate
di una sconcertante modernità, ostaggio del piattume comunicativo dei nuovi
media.
Nigro ha eletto il brigante a
icona principe della sua narrativa già in Fuochi del Basento, il libro
che sancì la sua unzione di pubblico e critica in quegli anni Ottanta in cui la
Puglia delle lettere svoltò verso la strada della sua rinascenza artistica. Di
qui la mitologia popolare del ribellismo si coagulò in un fiume carsico che
percorse i suoi scritti, fino a confluire in quel bacino capiente che è l'ampia
ricognizione in forma di saggio d'autore intitolata Giustiziateli sul campo.
Letteratura e banditismo da Robin Hood ai giorni nostri (Rizzoli 2006), che
costituisce l'antecedente più immediato della sua nuova prova Nigro torna ora a
travestirsi da saggista e mette fuori un lavoro che vuol essere il primo
rinnovato atto di un'operazione di recupero attraverso i secoli di un variegato
repertorio di testi poetici etichettabile come epopea nera o neo-barbara che
trovò concime nel microcosmo contadino meridionale. Interpreti di questo filone
sono stati i cantastorie, figure con le quali Nigro, che ha spesso rivendicato
di essere un cantore fuori del coro rispetto a certa narrativa seriale
minimalista in voga, instaura una scoperta sintonia a distanza.
Del resto, vicende di ferro e
fuoco aventi per protagonisti capibanda e arruffapopolo lo scrittore melfitano,
ma barese di lungo corso, ha cominciato da ragazzo ad ascoltare in casa, a
succhiare col latte in famiglia, dal padre e dalla nonna, o per via, da bocche
di anziani che hanno nutrito il suo immaginario e acceso la sua fervida
fantasia di romanziere. L'oralità è il pedale profondo che mette in movimento
la sua disposizione al racconto memoriale ed è alla base della tradizione
canterina brigantesca, performata a viva voce da menestrelli e rielaborata a
orecchio dagli ascoltatori prima di essere trascritta in edizioni alla buona.
Una letteratura di strada a cura di aedi semicolti che si spostavano, sulla
falsariga dei chierici vaganti medievali, di paese in paese, di piazza in
piazza, per raccontare episodi di vita dal respiro epico benché umile.
Pendolari dell'arte, montavano scenografie rudimentali e prendevano a recitare
le loro ballate in rime catturando l'attenzione del pubblico attraverso
l'intreccio di un dialogo costante tra fondali dipinti e tessitura
melico-verbale. Un po' teatranti, un po' cineasti, vissero al tempo in cui la
tv non c'era o emetteva i primi vagiti.
Materia del loro canto erano fatti
e fattacci di tipi loschi, pendagli da forca, avvolti in un alone di leggenda
che sfiorava il perimetro della santità. Nella deformazione fantastica dei
rapsodi i banditi erano personaggi di confine, in precario equilibrio tra
l'angelo e la bestia: paladini degli oppressi e criminali incalliti. Dentro lo
spazio lirico del sogno la seduzione del male trasformava la parabola dei
fuorilegge in vangelo a beneficio degli ultimi. L'uomo nero incarnava a suo
modo l'ariostesca gran bontà dei cavalieri antichi. Dava voce alle attese di
libertà e resurrezione di un Sud tiranneggiato e offeso, ma per contrappasso
alla fine della sua vita spericolata lo attendeva la galera o il patibolo.
Miseria e grandezza di un mondo
dal fascino primitivo impiccato al nodo scorsoio della modernità.
dal “Corriere del Mezzogiorno” di
domenica 21 ottobre 2012
Link utili:
Nessun commento:
Posta un commento