BAROCCO
Quelle nostre cittadine protagoniste di un’epoca
Di Angelo Sconosciuto
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Brindisi e Francavilla, Mesagne e
Oria. C’è tanto barocco in questi centri che ora nella provincia brindisina a
quel tempo appartenevano all’unica entità geografica della Terra d’Otranto.
Anche queste realtà, dunque, sono al centro dello studio che Mario Cazzato ha
condensato nel bel libro «Puglia barocca» (pagg. 136, Euro 18) che per i tipi
di Capone Editore, esce nelle librerie martedì 15 gennaio prossimo.
«Una storia generale del barocco
pugliese in quanto categoria artistica e segnatamente architettonica, non è
stata mai, fin qui, composta», scrive nella Premessa l’autore, che dal lontano
1986 e dal suo «Melpignano. Indagine su un centro minore», è andato sempre più
focalizzando l’attenzione sui problemi e sulle questioni rilevanti di quella
che viene considerata ormai come «civiltà barocca salentina».
E riferendosi alla «fondamentale
monografia di M. Calvesi e M. Manieri Elia (1971) dal titolo Architettura
barocca a Lecce e in Terra di Puglia» ed all’«Atlante del barocco in Italia (a
cura di V. Cazzato, M. Fagiolo, M. Pasculli Ferrara)», l’autore sostiene che
«si è potuto accertare come gran parte delle manifestazioni barocche del centro
e del nord della Puglia hanno una rilevanza indiscutibile e una frequenza
statistica significativa solo a partire dal XVIII secolo. Per quello precedente
aggiunge -, per l’epoca cioè di formazione e di diffusione del barocco, l’area
protagonista è quasi soltanto Terra d’Otranto e in particolare l’area leccese
con in testa il capoluogo. Qui infatti possiamo agevolmente seguire la nascita
e lo sviluppo di un nuovo linguaggio e come questo guadagni progressivamente
l’intera provincia puntate nel barese. In questo senso non si può non essere
d’accordo con la storiografia tradizionale che ha parlato giustamente di
“barocco leccese” (V. Cazzato, 2003) e non già di “barocco barese” o di
“barocco foggiano” che in un certo senso, più questo che quello, possiamo
considerare come un’appendice del barocco napoletano tanto da poter essere
studiati separatamente senza timore di incorrere in errori metodologici così
come suggerisce il citato Atlante». «È perciò, ancora, opportuno partire da
Lecce per ricostruire l’evoluzione di un nuovo linguaggio che ebbe la forza,
tra l’altro, di trasformare per la prima volta dopo il Medioevo il volto delle
città», egli sostiene.
Questo per far notare come «i due
secoli del barocco pugliese influirono profondamente sull’assetto urbanistico
degli abitati: i casi di Lecce, completamente risemantizzata, di Taviano, di
Francavilla Fontana con i suoi lunghissimi assi viari, di Montemesola, di
Gravina o di Serracapriola sono solo alcuni degli episodi più emblematici che
aspettano ancora una lettura unitaria».
Ecco dunque spiegata la vicenda in
otto capitoli, che prendono le mosse dagli esordi del «barocco leccese» e
proseguono con «le opere e gli autori della transizione al barocco» e con le
maniere entro le quali esso si sviluppa, quindi con le riflessioni su Giuseppe
Zimbalo e sul barocco leccese, per poi passare alla prima riscossa
«antibarocca» ed a Mauro Manieri ed osservare quindi la presenza dell’arte
napoletana in Puglia. «Se a Napoli non si può parlare di barocco prima del 1631
(l’attività del Fanzago non si esplica compiutamente prima di questa data), a
Lecce questo fenomeno deve essere spostato almeno di un quindicennio, con le
opere di Cesare Penna dice Cazzato -. Nel decennio 1647-1656 c’è un grande
fermento, rilevante non solo nel leccese ma anche in altre aree pugliesi. Dal
1656 al 1670 si verifica l’eplosione vera e propria del barocco leccese che
diventa salentino tra gli anni ‘70 e ‘80 del secolo. In questi decenni la
figura chiave è senz’altro Giuseppe Zimbalo. Fino alla sua morte, il 1710,
costui occupa sempre un posto di rilievo nel panorama architettonico salentino
anche quando la sua attività si intreccia con quella di Giuseppe Cino e del suo
“clan”. Ma una svolta decisiva si avrà solo con Mauro Manieri (1687-1744) che
spingerà l’ambiente artistico verso una radicale critica dell’esasperato
decorativismo barocco di quegli anni». E Cazzato aggiunge: «Sarà tuttavia il
terremoto del 1743 a costituirsi come episodio fondamentale dell’affermazione
del gusto rocaille che unificherà il basso con l’alto Salento, segnando ancora
una volta la differenza con la Capitanata gravitante sempre di più nell’orbita
napoletana». Ecco spiegati, dunque gli ultimi due capitoli, dedicati alla
diffusione del barocco in Terra di Bari ed al tardobarocco in Capitanata.
«La sinteticità di questa
ricostruzione, che è soprattutto storica, lascia necessariamente in ombra non
pochi fenomeni degni di più ampia trattazione», dice l’autore in conclusione,
ma quello che ora vede la luce è davvero un libro per tutti: una sintesi ben
fatta che suscita in chi è curioso la voglia di continuare a ricercare a
confrontare situazioni, luoghi ed opere. E questo desiderio, spinge sempre ad
majora.
Da "La Gazzetta del Mezzogiorno" di domenica 13 gennaio 2012
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