Sarà disponibile da marzo 2014 la ristampa anastatica
del volume di Alba Medea, Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi (tomo I).
Pubblicato per la prima volta
nel 1939, è oggi riproposto
con una Presentazione di Antonio Ventura che riportiamo
di seguito.
Alba Medea e le cripte eremitiche
pugliesi
Nel 1936, Giuseppe Gabrieli, orientalista e bibliotecario
dell’Accademia dei Lincei, dava alle stampe l’Inventario topografico e
bibliografico delle cripte eremitiche basiliane di Puglia, quarto volume
della collana “Bibliografie e Cataloghi” pubblicata dal Regio Istituto
d’Archeologia e Storia dell’Arte di Roma. Invitato, poi, a presentarlo e ad
illustrarne il contenuto agli studiosi italiani e stranieri intervenuti ai
lavori del 5° Congresso Internazionale di Studi Bizantini, indetto nella
capitale in quello stesso anno, riferiva, nel corso della relazione, che,
durante le frequentazioni dei vari istituti culturali per le necessarie
indagini archivistiche e bibliografiche, aveva avuto occasione di visionare
presso la biblioteca dell’Associazione per il Mezzogiorno d’Italia le schede
storico-artistiche della indagine ancora inedita Chiese-cripte della
provincia di Taranto,
“ … nella quale la dottoressa
Alba Medea ha registrato quanto in un mese intero di soggiorno sui luoghi, di
ricerca e di esplorazione, di veramente intensa fatica e lavoro, ha osservato,
misurato e venuto a sapere. Di ogni cripta da lei visitata ha dato una precisa
e fedele descrizione, indicandone la denominazione, la località, lo stato
attuale di proprietà, di custodia e d’uso a cui sia adibita, la misurazione
planimetrica, la descrizione e interpretazione degli affreschi ed inscrizioni
ancora visibili, spesso la pianta iconografica, e finalmente la bibliografia,
con l’indicazione della iconografia fotografica, quando esista, e col
suggerimento pratico di ciò che possa farsi per la riproduzione degli affreschi
e la conservazione della cripta. Altrettanto la dott.ssa Medea ha fatto nel
1934 per le più numerose cripte di Terra d’Otranto. Così si ha finalmente la
notizia sufficiente e sicura di un centinaio circa di cripte basiliane o bizantine pugliesi…”.
La ricerca segnalata con tanto entusiasmo da Giuseppe
Gabrieli, rappresentava, come si può dedurre dalla sua attenzione nel
menzionarne ogni particolare, il primo studio condotto in maniera organica su
quei singolari monumenti della Puglia meridionale e delle limitrofe regioni di
Basilicata e Calabria, la cui parte più interessante, ma anche più esposta ad
alterazione e deperimento, è rappresentata dalla ricca decorazione iconografica
delle absidi, dei pilastri, delle pareti laterali, degli archi e, talvolta,
anche dei soffitti, dove, su uno o più strati sovrapposti d’intonaco, la
devozione dei fedeli ha, in tempi remoti, dipinto, all’interno di un riquadro
appena accennato, l’immagine sacra venerata nella chiesa-ipogeo, oppure l’ha
sostituita con un’altra diversa, iscrivendone in alto, ai due lati, il nome con
sigle greche o latine o con lettere disposte verticalmente.
Questo patrimonio artistico, unico nel suo genere, è rimasto
per lungo tempo sconosciuto agli ambienti culturali ed accademici italiani ed
alle autorità predisposte a tutelarlo ed a garantirne in maniera opportuna la
conservazione. Perché cominci a suscitare il giusto interesse e venga
finalmente segnalato come fondamentale testimonianza dell’espressione artistica
bizantina nella pittura, bisognerà giungere alla seconda metà del XIX secolo,
quando studiosi, specialmente francesi, cominceranno ad occuparsene, senza, però,
condurre studi approfonditi. Non mancarono, infatti, di sottolinearne
l’importanza storica ed il pregio artistico Charles Diehl, ne L’art byzantin
dans l’Italie Mèridionale; Emile Bertaux, in L’art dans l’Italie mèridionale;
François Lenormant, in la Grand Grèce e, ancora, nelle Notes archéologiques
sur la Terre d’Otrante;
Jules Gay, ne L’Italie méridionale et l’empire byzantin.
Tra gli anni 1868-1875, in verità, la Commissione
Provinciale di Antichità e Belle Arti di Lecce, affiderà ad alcuni suoi membri,
tra cui studiosi di sperimentata esperienza e cultura, come Luigi De Simone e
Cosimo De Giorgi, l’incarico di promuoverne l’esplorazione, lo studio e la
descrizione, ma il progetto non sarà coronato da successo e neppure sarà
seguito da altri analoghi, lasciando, così, spazio, per un lungo periodo,
all’abbandono, al silenzio, all’incuria, con la conseguenza di accelerare il
deperimento delle cripte e degli affreschi che le adornano.
Tale era la situazione esistente negli anni Trenta del
Novecento, quando Alba Medea iniziò ad esaminarli, non senza dover superare
difficoltà logistiche ed organizzative accresciute, talvolta, dall’ostilità di
quanti avevano abusivamente occupato gli ipogei, per destinarli a deposito
degli attrezzi agricoli o, peggio, per adibirli a ricovero degli animali.
La giovane ricercatrice, di origine
lombarda e figlia unica dell’illustre psichiatra e neuropatologo Eugenio Medea,
riuscì, tuttavia, a muoversi con relativa sicurezza in quei luoghi, che sino ad
allora non aveva avuto mai occasione di visitare. Dopo la nascita, nel 1905,
aveva, infatti, vissuto per lungo tempo con la famiglia all’estero, seguendo
gli spostamenti del padre nel corso degli incarichi professionali ed accademici
a Berlino, Monaco di Baviera, Zurigo. Poi, al rientro in Italia, si era
stabilita a Milano e qui, portati a termine gli studi liceali ed universitari,
aveva avuto modo di manifestare, ben presto, quale sarebbe stato il settore
privilegiato delle sue ricerche, pubblicando, nel 1932, presso l’editore
Cogliati, con prefazione firmata da Paolo D’Ancona, Arte italiana alla corte
di Francesco I. 1515-1517.
In quel periodo cominciò anche ad occuparsi delle vicende
storico-artistiche dell’Italia Meridionale, perché la passione per l’antichità
classica l’aveva portata a collaborare con l’archeologo Paolo Orsi, il quale,
insieme con Umberto Zanotti Bianco, nel 1920, aveva fondato, nell’ambito
dell’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno, la Società
Italiana Magna Grecia e costituito, al suo interno, la sezione
Bizantina-Medievale, con lo scopo di poter effettuare in Puglia l’esplorazione
e la ricognizione sistematica degli affreschi conservati nelle cripte
basiliane, in modo da predisporne la tutela e, nello stesso tempo, renderne
nota l’importanza attraverso la pubblicazione delle testimonianze superstiti e
delle relative iscrizioni greche ancora leggibili.
Da loro, Alba Medea, per le indubbie competenze, fu
incaricata di condurre tali indagini e, pertanto, nel 1932, si dedicò con
impegno ai lavori di rilevamento e di classificazione, incontrando validi punti
di riferimento nelle professionalità di Quintino Quagliati e di Renato
Bartoccini, Soprintendenti ai Musei ed agli Scavi di Puglia; di Carmine
Corvaglia, Ispettore dei Monumenti e Scavi di Vaste e Poggiardo; di Pasquale
Camassa, Direttore del Museo di San Giovanni in Brindisi.
A distanza di due anni l’inventariazione dei dipinti era
andata avanti speditamente e si avviava alla conclusione, come ella era in
grado di darne notizia, riferendo su La Sociétè Magna Grecia Bizantina Medievale et le Corpus des cryptes
d’Ermites dans les Pouilles, nella sede scientifica del 3° Congresso di
Studi Bizantini di Sofia, dove, trascorso un biennio, sarebbe tornata ancora
una volta, per presentare in anteprima, durante i lavori del 4° Congresso di
Studi Bizantini, l’edizione pronta per la stampa, con la relazione Le Corpus
des fresques peintes dans les
cryptes des Pouilles.
Nel 1937 provvedeva anche a darne una rapida ma esauriente
informazione agli ambienti culturali italiani, pubblicando Ricordi basiliani
nell’Italia meridionale. Affreschi nelle cappelle rupestri pugliesi in “Arte
e restauro” e Osservazioni sugli affreschi delle cripte eremitiche di Puglia
in “Japigia”. Gli articoli, per la novità e l’originalità dei contributi,
suscitarono un tale interesse anche a livello internazionale, da essere
tradotti ed ospitati nelle riviste “American Journal of Archaeology”e “The
review of religions”.
Finalmente, nel 1939, la Collezione Meridionale Editrice,
diretta da Umberto Zanotti Bianco, stampava in due volumi, di cui uno
fotografico, l’intera ricerca di Alba Medea, con il titolo Gli affreschi
delle cripte eremitiche pugliesi. Il territorio interessato dall’indagine,
precisava l’autrice nell’introduzione, era quello della regione nei confini attuali
e non in quelli storici; pertanto, diversamente da quanto aveva fatto Giuseppe
Gabrieli, ella aveva preso in considerazione soltanto i monumenti esistenti nelle province di
Bari, Brindisi, Lecce e Taranto, escludendo gli altri della provincia di Matera,
entrata a fare parte, in età moderna, della Basilicata.
La pubblicazione, come ebbero modo di recensire Nicola Vacca
in “Rinascenza Salentina” e Domenico Vendola in “Japigia”, rispondeva in
maniera esauriente all’esigenza, da tempo e da più parti avvertita, di ricerche
approfondite e metodologicamente corrette sull’argomento e ancora oggi, per la
scrupolosa competenza con cui fu condotta, restano immutati la sua attualità e
l’interesse scientifico .
È, quindi, importante l’iniziativa dell’editore Lorenzo
Capone di mettere nuovamente a disposizione degli studiosi questo strumento
indispensabile per la conoscenza di un patrimonio artistico tanto importante,
ristampando il primo volume, parte fondamentale dell’opera, e tralasciando il
secondo, difficilmente riproducibile per la scarsa leggibilità delle immagini,
tra l’altro, in buona parte, non più corrispondenti alla situazione odierna.
Sullo scopo del lavoro da lei condotto, Alba Medea
precisava:
“…Mio intento era quello di
segnalare l’esistenza di monumenti per lo più abbandonati e mal noti,
indicandoli così non solo all’attenzione degli studiosi ma attirando su di essi
quella della Soprintendenza per eventuali restauri… Non si offrono conclusioni
definitive… Il rapporto fra gli affreschi delle grotte pugliesi e quelli dello
stesso tipo in altre regioni quali la Basilicata o la Calabria… non potrà
essere trascurato. Infine questa pittura dovrà trovare il suo posto entro il
vasto quadro dell’arte pittorica bizantina provinciale fra gli affreschi di
Cappadocia e quelli russi della medesima epoca…”.
Anche nella Puglia meridionale, infatti, alla pari degli
altri luoghi menzionati, la cultura, la lingua, la civiltà, i riti bizantini si
erano diffusi nell’ambiente indigeno e lo avevano penetrato profondamente in
tutti gli strati sociali, quando, in seguito alla lunga serie di avvenimenti
civili, militari e religiosi succedutisi nel corso dei secoli VII-XI, vi
trovarono rifugio le popolazioni fuggite dall’Africa e dalla Siria dinanzi alla
vittoriosa avanzata musulmana. Presso di esse si stabilirono, successivamente,
invogliati dall’ampia diffusione della lingua e del rito greci e dalla
tolleranza delle autorità locali, i monaci orientali, insofferenti
dell’offensiva iconoclasta di Leone III Isaurico, e, poco dopo, transitando per
la Calabria e la Basilicata, quelli scappati dalla non più sicura Sicilia dopo
la conquista araba.
Sotto il loro influsso rifiorì la vita religiosa ed i
monasteri basiliani e le laure cenobitiche si moltiplicarono, specialmente
nella Penisola Salentina, dove, accanto ai ricchi e grandi monasteri di San
Nicola di Casole, di Santa Maria di Cerrate, di San Vito del Pizzo, dotati di
vasti possedimenti dalla liberalità dei principi e dalla generosità dei fedeli,
sorgevano in gran numero le chiese rupestri e le celle ipogee adattate in
grotte preesistenti, oppure aperte lungo i fianchi delle solitarie gravine
nella zona delle Murge, o, ancora, scavate nei piani tufacei della provincia di
Lecce. Tutti quei monumenti, insomma, genericamente definiti cripte
eremitiche.
Destinate al culto divino, quelle cappelle, rozze e
dall’architettura indefinibile, furono affrescate per nascondere la squallida
nudità dei muri, divenuti, nel corso dei secoli, autentici palinsesti, tanto
grande è sulle loro superfici il numero delle immagini sacre sovrapposte le une
alle altre dalla pietà dei fedeli, in maniera confusa ed in epoche diverse.
La pittura, scrive Alba Medea, fu, tuttavia, coltivata e
promossa dai Basiliani, non tanto per motivi estetici ed ornamentali, quanto,
piuttosto, perché considerata il mezzo ideale per invitare le popolazioni alla
preghiera ed all’osservanza dei precetti religiosi, in modo da raggiungere,
anche tra le inquietudini del mondo terreno, la serenità e la pace riprodotte
nei volti e negli atteggiamenti dei Santi rappresentati in lunghe file e
osservando, quasi, una sorta di repertorio fisso che, tuttavia, presenta
leggere differenze da una provincia all’altra, per la maggiore o minore
frequenza con cui si ripetono le immagini dell’Arcangelo Michele o di San
Basilio, San Giorgio, San Demetrio, San Giovanni Precursore, San Lorenzo, San
Pietro, San Nicola….
Meno numerose e differenti per la potente efficacia
espressiva sono, invece, le rappresentazioni del Cristo Pantocratore e della
Vergine col figlio e, ancora, alcune scene evangeliche, come l’Annunciazione,
la Natività, l’Adorazione dei Magi, la fuga in Egitto, il Battesimo, l’ingresso
a Gerusalemme, la Deposizione e la Visita al Sepolcro.
Tutti gli affreschi sono analizzati dall’autrice e
classificati, sulla base dei differenti caratteri stilistici, secondo una
precisa successione cronologica, a cominciare dai più antichi, assai vicini
agli esemplari dell’arte cristiana orientale, per passare ai più perfetti dei
secoli XII-XIII e giungere agli ultimi e ormai decadenti del 1300 e del 1400.
Argomenti che sarebbero stati da lei ripresi ed ulteriormente approfonditi, nel
1940, trattando L’iconografia della Scuola di Rimini in “Rivista d’Arte”.
A questo articolo sarebbe seguito un lungo silenzio di circa
venti anni, interrotto nel 1962, quando Alba Medea ritornò, ancora una volta,
sui temi artistici a lei familiari, pubblicando, Resti di un ciclo
evangelico in ”Archivio Storico per la Calabria e la Lucania” e, l’anno
successivo, relazionando su La pittura bizantina nell’Italia meridionale nel
medioevo. V-XIII secolo, durante i lavori del Convegno
Internazionale “l’Oriente cristiano nella storia della civiltà”, indetto nelle
sedi di Roma e di Firenze.
Furono i suoi ultimi contributi sulla storia dell’arte
medievale italiana.
Dal 1966 volle dare un diverso
significato alla propria esistenza, perché, privilegiando interessi e vocazioni
divenuti sempre più importanti, abbandonò in maniera definitiva studi e
ricerche e rivolse ogni energia all’assistenza del prossimo in difficoltà e, in
particolare, al riadattamento scolastico e lavorativo dei bambini affetti da
epilessia e da disabilità motorie.
Divenne, così, “Nonna Alba”, come presero a chiamarla
affettuosamente i piccoli ricoverati nel padiglione, che il padre, intestandolo
alla moglie “Bianca Medea”, aveva creato ed attrezzato presso l’istituto
riabilitativo dell’associazione “la Nostra Famiglia” di Bosisio Parini,
all’indomani dell’incontro, avvenuto nel 1950, con il beato don Luigi Monza.
Una esperienza di fondamentale importanza che aveva fatto
maturare in lui e nella figlia la decisione di mettere da parte gli interessi
culturali ed i beni materiali, per impegnarsi soltanto nell’assistenza
socio-sanitaria dell’infanzia sofferente.
Antonio Ventura
Dati bibliografici e caratteristiche tecniche: Alba Medea, Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi, con Presentazione di Antonio Ventura, Capone Editore 2014.
Formato 17x24 cm, pagine 264, illustrato b/n, € 25,00.
ISBN: 978-88-8349-186-3
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