Capone, il tarantismo e la musica popolare salentina ieri e oggi
Le «Osservazioni» per aggiornare un discorso
Davvero difficile stare dietro agli innumerevoli appuntamenti con la pizzica. Chi non danza discute e ciascuno propone le sue «letture» del fenomeno in cui confluiscono le sue conoscenze, il suo vissuto, i suoi sentimenti.
Benedetto Croce affermava che «ogni storia è storia contemporanea», intendendo così ribadire che il compito dello storico non si riduce a raccogliere e catalogare fatti. Piuttosto gli compete di giudicare ed analizzare il "passato" con gli occhi del presente ed alla luce dei problemi del presente, facendo sì che gli avvenimenti rimangano sempre vivi, in continua mutazione.
Di tutto ciò è ben consapevole Federico Capone, storico delle tradizioni popolari ed esperto di canzone dialettale leccese, che nelle sue "Osservazioni sul tarantismo e altri scritti sulla musica popolare salentina" (Capone Editore, pp. 128, con una dotta prefazione di Maurizio Nocera) dimostra come, checché se ne pensi, il tarantismo non si esaurisce con la spedizione dell'equipe guidata da Ernesto De Martino nel Salento, compiuta nell'estate del 1959 e i cui risultati furono pubblicati nel 1961 in La terra del rimorso, ma che piuttosto si è ricontestualizzato, adeguandosi a tempi e luoghi. «Si badi bene che questo "rimodellamento" non è esclusivo della contemporaneità, né appartiene soltanto al tarantismo – sottolinea l'autore –, è un fatto normale ne era convinto anche Ernesto de Martino, che riteneva il fenomeno "plasmato dalla cultura egemone"; proprio questa banalità regge tutto il ragionamento: il tarantismo altro non è che un risultato figlio della propria epoca. A testimonianza di questo vi sono i tanti paralleli – per modi e finalità del rito – distanti nel tempo e nello spazio rispetto al fenomeno così come è giunto a noi, quindi è chiaro che per comprendere appieno ciò che accade oggi, è necessario conoscerne la storia».
Queste "Osservazioni" si svolgono lungo la direttrice passato- presente, e così nella parte iniziale i documenti di prima mano danno solidità alle successive interpretazioni dell'autore, che la fanno da padrona nella seconda parte del saggio, per costituire, nell'insieme, una "storia" nel senso più ampio del termine, che inizia nel basso- medioevo – è, nell'undecimo secolo, infatti, che si sente parlare per la prima volta di "taranta" con Goffredo di Malaterra che nelle 'Gesta di Ruggiero' narra di un attacco, ad opera di ragni velenosi, subìto dall'esercito normanno accampato sul Monte Pellegrino, nei pressi di Palermo – ed arriva ai giorni nostri.
Proprio questa seconda parte è certamente la più fresca. Capone indaga gli sviluppi contemporanei, soffermandosi in particolare sul reggae+hiphop dei primi anni Novanta – che trova nel Salento terreno fertile grazie al Sud Sound System, gruppo composto da dj e toaster-sciamani – e sulla Notte della Taranta, il festival itinerante che ogni anno, nella serata conclusiva a Melpignano, richiama centinaia di migliaia di spettatori che, danzando sotto il palco, si liberano, almeno per poche ore, dei problemi quotidiani. Tutto ciò avviene grazie ad una musica che, forse, "tradisce la tradizione" coi suoni ma assolve pienamente alla funzione catartica assegnatale dal "tarantismo".
In questa direzione – la musica in grado di liberare – ampio spazio è dato alla canzone dialettale leccese e salentina che, fin dall'inizio del secolo scorso, ha contribuito a mantenere in vita una memoria che, passando dalla campagna alla città, sembrava dovesse scomparire ed invece si è rafforzata.
"Tracce", funge da intermezzo fra la prima e la seconda parte qui vi sono molte testimonianze di autori medioevali e moderni, che hanno scritto di tarantole da Alberto di Aquisgrana (XII sec.) a Tommaso Campanella.
In conclusione un ricco e suggestivo apparato iconografico con immagini che vengono pubblicate per la prima volta, tutte inerenti il tarantismo e più in generale la danzimania; sono da segnalare le opere inedite di Francesco e Massimo Pasca e quella di Salvatore Sciurti, ma anche una matrice, quasi sconosciuta di Antonio Tempesa (XVI-XVII secolo), nella quale sono raffigurati tre tipi di "tarantola" conosciuti, ossia il geco, il ragno e lo scorpione, ma anche la ri-lettura del mese di Giugno del mosaico di Otranto, ove vi sono due Gemelli che paiono danzare con le movenze della pizzica.
Angelo Sconosciuto