venerdì 19 luglio 2013

I MORIBONDI DEL PALAZZO CARIGNANO / / / Recensione a firma di Luigi Montonato apparsa su "Il Galatino" di venerdì 12 luglio 2013


I moribondi del Palazzo Carignano

Torino, il primo Parlamento dell’Italia unita

In una riedizione dell’Editore Capone, a cura di Enzo Di Brango

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Se le aule parlamentari italiane invece di essere a semicerchio, alla francese, fossero state rettangolari, all’inglese, gli esiti della politica italiana sarebbero stati diversi? E soprattutto, si sarebbe mai verificato quel tratto tutto italiano del consociativismo, che ha dato vita in più di centocinquant’anni di storia a governi che vanno dal Connubio Cavour-Rattazzi alle Larghe intese di Letta-Alfano?
Il problema della forma dell’aula parlamentare si pose fin dall’inizio, sia pure come apparente stravaganza, quando il conte Gianni Battista Michelini, deputato dal 1848, in sede di discussione del trasferimento della capitale da Firenze a Roma, il 23 dicembre 1870, chiese che passasse all’ordine del giorno un documento in cui chiedeva che l’aula destinata alle adunanze della Camera a Roma fosse “quadrilunga”. E siccome tutti si misero a ridere, ad incominciare dai suoi, sbottò: “Eh no, signori deputati! La quistione è eminentemente politica…soprattutto visti i felici effetti in Inghilterra”. In quel paese l’aula dove si riunisce la Camera dei Comuni, infatti, è rettangolare, il che favorisce una netta distinzione tra destra e sinistra. Secondo Michelini la circolarità produce confusione, la rettangolarità invece favorisce la chiarezza degli schieramenti. Bah, che avesse ragione a chiedere chiarezza e coerenza nessun dubbio, che però la forma dell’aula potesse evitare il nomadismo dei parlamentari ne passa. Ad ogni modo fu scelta la circolarità, che perfino dal punto di vista semantico è affine al nomadismo parlamentare.
A questi pensieri ci conduce un interessante libro di Ferdinando Petruccelli della Gattina, I moribondi del palazzo Carignano, pubblicato nel 1862, ed ora con felice intuizione riedito dall’Editore Capone di Cavallino, nella collana diretta da Valentino Romano “Carte scoperte. Storie e controstorie”, a cura di Enzo Di Brango e prefato dallo stesso Romano (pp. 136, € 12,00).
L’autore, di Moliterno in provincia di Potenza (1815-1890), fu scrittore e uomo politico di sinistra, partecipò ai moti del ’48, fu esule a Parigi, dove combatté sulle barricate durante il colpo di stato bonapartista; rientrò in Italia e fu deputato (1861-65, 1874-82). Autore di numerosi saggi politici.
Questo, di cui parliamo, è il più famoso, benché a tratti abbia carattere panflettistico. Fa l’elogio di Cavour, di cui coglie aspetti che, espressi all’indomani della sua morte, hanno un valore critico importante: “Egli non parla per la Camera, ma per l’Europa. […] Il diplomatico è un gigante; l’amministratore, mediocre; l’uomo, un antitesi” (p. 53). Di Crispi dice che “ha l’attitudine la più aggressiva nella Camera – quando s’indigna e rompe la monotonia. Allorquando egli s’alza per parlare, si direbbe che sia per tirar fuori di tasca un paio di revolvers” (p. 44).
Del Parlamento dice: “Non si dirà giammai che il nostro è un Parlamento democratico! Vi è di tutto – il popolo eccetto” (pp. 39-40). Della destra dice che “non ha tinte ben recise; se nonché seggono su i suoi banchi parecchi pretendenti, parecchi rivali più o meno mascherati del conte di Cavour” (p. 40). “Il centro è le radeau de la Méduse. Là sonosi raggruppati tutti i naufraghi, tutti i frantumi, épaves, del partito del conte di Cavour…il partito delle pretensioni impotenti, degli ambiziosi fulminati – Icari di cartone imbrattato” (p. 41). Ovvio che in questo “albergo degli invalidi del Presidente del Consiglio” includesse Liborio Romano, Giuseppe Pisanelli e Carlo Poerio, definito quest’ultimo “capo putativo del quartier generale dei deputati napoletani…ma che non ha capo. Pulvis et umbra!” (p. 41). La sinistra per lui, uomo di sinistra, “è la sede degli uomini di Stato in isbozzo, per il momento” (pp. 41-42); mentre “L’estrema sinistra componesi di individui isolati, i quali hanno quasi  tutti un passato, un nome, una personalità morale, netta, recisa. Tutti questi elementi non s’accordano tra loro” (p. 42).   
Ben si sarebbe inserito questo libro in atmosfere celebrative dei centocinquanta anni dell’Unità d’Italia. Ma circostanza a parte, il libro ha una sua autonoma validità, perché offre uno spaccato dell’Italia politica relativo al primo parlamento dell’Italia unita, VIII legislatura in successione sarda, con flash interessanti su uomini e formazioni politiche.
Interessanti per noi salentini i giudizi su Liborio Romano, Giuseppe Romano, Giuseppe Massari e Giuseppe Pisanelli. Del tutto assente Sigismondo Castromediano, non si sa se per un riguardo o per summa iniuria.
Di Liborio Romano dice: “Io non so ciò che vuole Liborio Romano, chi è desso, ove tende, s’egli vezzeggi l’unità italiana o l’autonomia napoletana” (p. 119). Va meglio per il fratello Giuseppe Romano, di cui dice “ardente di ben fare” (p. 111). Di Giuseppe Massari “E’ l’uomo lo più calunniato tra i mestatori della politica governativa, ma in verità egli è cento volte migliore della sua rinomanza – e, comparato ad altri della consorteria, un modello” (p. 74). Con Giuseppe Pisanelli è tranciante: “Pisanelli passava per uomo istrutto; per parlatore enfatico sì, ma facile, colorito ed elegante; per carattere sostenuto, per disinteressato ed alla cosa pubblica atto, e delle cose politiche intelligente. Messo a prova, il disinganno fu completo” (p. 126).
L’interesse per questo libro nasce nel momento in cui ieri come oggi la classe politica italiana presenta gli stessi caratteri. Il curatore Di Brango osserva che “se spogliamo i deputati di allora dai centocinquanta e passa anni di retorica unitaria, in fondo in fondo, i parallelismi sono possibili…evidenti. I vizi, gli intrighi, le furbizie che caratterizzarono l’ultimo periodo di vita del parlamento sardo furono mutuati e consolidati nei parlamenti unitari, “migliorati” e “affinati” con perizia volpina tutta italiana”. (p. 17) Come non pensare ai parlamentari del Pd di meno di due mesi fa in sede di votazione del Presidente della Repubblica, leggendo questo passo del Petruccelli: “Vi sono parecchi deputati che seggono alla sinistra e votano costantemente con la destra, altri che, anche sedendo alla destra, votano talvolta con la sinistra”? (p. 40).
Un libro, questo, forse eccessivamente duro, con qualche giudizio affrettato e dettato da avversioni temporali, col gusto anche della battuta, ma che apre di sicuro un affaccio importante su una realtà storica dimenticata.

Gigi Montonato

“Il galatino” – 13 giugno 2013  

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