Taranta, pizzica e Salento,
morsi senza rimorsi
di Felice Laudadio jr.
“Viaggio nel Salento magico”, di Federico Capone, Capone Editore,
Cavallino-Lecce, giugno 2013, collana “La terra e le storie”, 144 pag.
10 euro. Dove si racconta di folletti e streghe, di fate, orchi e
sirene, del venefico morso della tarantola, di fatti di vita quotidiana,
di usi, di costumi e di superstizioni, con fiabe e filastrocche.
Tarantola, tarantismo, tarantella. Pizzica. Attenti a non confondere
tradizione con tradimento, avverte Federico Capone nella sua premessa.
Etnografia l’è morta, non rimpianta, aggiungiamo e ha portato via con sé
l’ambaradam di lenti d’ingrandimento e vetrini da microscopio sotto i
quali metteva i popolani del Sud – tutti coppola e scialli neri, solo
coppola e scialli neri – che ancora alla vigilia degli Anni Sessanta si
mostravano dediti a riti arcaici e pratiche ancestrali. Testi
impressionistici, quelli etnografici, ragguagli su realtà esaminate con
la superiorità (involontaria e inevitabile) del colto verso l’inclita,
del maggiore verso il minore, dei moderni verso gli antichi. Tramontata
la vivisezione etnografica, resta la Storia e basta e avanza a rendere
nel suo significato di ponte culturale col passato il morso del ragno, “l’animale nocivo che vive in questa regione – scriveva il Galateo – e dal veleno del quale ci si libera col suono di flauti e tamburelli”. La danza come cura per tarantola,
l’attività coreutica, che in Terra d’Otranto vide le ninfe battere
nell’antichità remota i giovani messapi, trasformandoli in alberi.
Nicandro di Colofone, autore greco del II secolo a.C., narra nelle
Metamorfosi che gli ulivi erano pastori fanciulli, irrequieti e boriosi,
mutati dopo aver perduto una sfida impari, a passi di danza, contro
alcune semidee amiche di Dioniso. “Queste cose sono accadute molto tempo prima della spedizione di Ercole. In quel tempo si viveva con le pecore e i pascoli. Si
racconta dunque che, nella terra dei Messapi, presso il luogo chiamato
dei Sassi sacri, apparvero le ninfe Epimelidi che guidavano le danze e
che poi i fanciulli dei Messapi, abbandonando le greggi, dissero che
essi stessi sapevano condurre le danze ancor meglio”. Ignoravano di affrontare esseri divini, ritenendo di competere con donne mortali. “Avevano una maniera di ballare semplice, rozza”, da pastori, al contrario delle divine avversarie alle quali ogni mossa riusciva più elegante. Vinti e metamorfosizzati, gli insensati
ancora si lamentano quando il vento fa stormire le chiome degli ulivi,
nel bosco vicino ai Sassi sacri, chiamato appunto delle ninfe e dei
fanciulli.
La leggenda è stata ripresa da Ovidio (gli oleastri) ed
insieme i due brevi testi introducono l’antologia raccolta da Capone.
Partendo da Nicandro, le testimonianze arrivano a fine Ottocento, alle
tradizioni e superstizioni annotate tra Grecìa e Salento da Giuseppe
Morosi, Trifone Nutricati Briganti, Giuseppe Gigli e Sigismondo
Castromediano. Centrale è naturalmente il tarantismo, con la conferma
della notorietà del fenomeno, già nel medioevo, da Palermo alla libanese
Sidone, attraverso gli scritti di Goffredo di Malaterra, Alberto di
Aquisgrana e Girolamo Mercuriale. In epoca moderna, brani dei diari di
viaggio di George Berkeley, Antoine Laurent Castellan e Richard Keppel
Craven e testi di Girolamo Marciano da Leveranno. A commento visivo,
l’iconologia pugliese di Cesare Ripa.
L’autore. Federico Capone (1974), si occupa di
musica e tradizioni di Terra d’Otranto e sull’argomento ha pubblicato
“In Salento. Usi, costumi, superstizioni” (Capone Ed., 2003), “Lecce che
suona. Appunti di musica salentino” (Capone, 2004), “Hip hop reggae
dance elettronica” (Stampa Alternativa, 2004), “Sata Terra. Una breve
storia della canzone dialettale leccese da Tito Schipa ai tarantismi
premeditati” (2011, scaricabile da Internet). Ha curato “Cesare Monte e i
Canti del Salento” (Kurumuny, 2009) e “Giuseppe De Dominicis/Capitano
Black, Pietru Lau, Farfarina e Piripiernu” (Capone 2011).